Allo stesso
Dopo un lungo ondeggiar di pensieri fra lor contrari, ho alfine risoluto di mandare il presente poemetto sopra le Piante#1, ch’è nato solamente per vostra signora illustrissima, e che da sé solo senz’altra lettera potria volare sull’Istro#2; e ancor questo picciolo componimento drammatico#3 ho composto il primo dal novembre in qua nel tempo che altri avrebbe dato al teatro, alle conversazioni, ad un sonno più lungo de’ sonni miei, e che io ho consacrato alle Muse. Feci l’altro nell’anno scorso semplicemente per addestrare la penna in somiglianti componimenti (non avendo prima d’allora in cose drammatiche mai un verso composto, toltone alcune cantate), per potere riuscire con minore infelicità in un dramma di tre atti che meditava, e che in villa#4 lavorai nell’autunno passato; e che intitolato è L’ottomano#5.
Il picciol dramma avrebbe forse desiderato di essere più prolisso; il che si saria potuto effettuare con farlo di due parti, d’indiviso che è. Quello che è già fatto servirebbe allora per la seconda: la prima sarebbe d’uopo di farla tutta, e che versasse sulla partenza di Alceste: e il tempo che si può fare scorrere tra l’una parte, e l’altra, e d’un buon tratto della seconda, il tempo fosse appunto della lontananza del pastorello; il che già vi si potrebbe eseguire senza precipitare l’azione. Ma l’essermi ciò tardi sovvenuto, e l’altre cure che il maggior numero dell’ore allo studio dovute, voglion per sé, hannomi solo permesso di ritoccarlo.
Qualunque egli sia, vostra signoria illustrissima lo prenda ancora con l’altro per attestato dell’amor mio che mi professo avere per lei, di amendue. La supplico, a communicarmi sinceramente il suo fino giudizio, non cercando applausi, e di più sapendo di non meritarli. Che se per ella mi fu cortese di una congratulazione così gentile per l’epistola in versi liberi che le mandai, non creda già che io stimi di averla meritamente conseguita, ma per una ridondanza la presi della sua bontà; poiché ella esente di que’ pregiudizi, propri per lo più de’ grand’uomini, suole misurar gli altri con le sue belle virtù.
Veramente sembra sovverchio il mio ardire l’inviar cose che vaglion sì poco a vostra signora illustrissima, ch’è poeta sì valoroso, e che sostiene l’onore dell’Italia, spuntando l’orgoglio alle nazioni rivali; mentre reputo i versi miei (come infatti lo sono) indegni di comparire, non dico al publico, ma sott’occhio di alcuni privati, che a vostra signoria illustrissima sono indefinitamente minori. Ma incolpi quel genio affettuoso, che sì tenero, e sensibile nel mio cuore coltivo per lei; perch’esso appunto è la sola cagione che rendemi audace, e cose alla luce presenta che dalle tenebre non uscirebbon giammai.
Ella seguiti a conservarmi nel suo bel cuore, siccome ha fatto finora, ch’è la cosa più acetta che io possa desiderare, e rassegnandole il mio rispetto, io mi protesto ecc.
Modena aprile 1766.