Anton Francesco Gori (1691-1757) fu uno dei protagonisti del panorama erudito del primo Settecento, nonché tra i principali fautori degli studi di etruscologia del tempo. Nato a Firenze, divenne sacerdote nel 1717. A indirizzarlo verso gli studi classici e l’interesse per le antichità furono Filippo Buonarroti (1661-1773) e, in particolare, il grecista Anton Maria Salvini (1653-1729), alla cui influenza si deve una delle principali opere letterarie di Gori, la traduzione del Trattato del sublime di Pseudo-Longino (1733). Sempre grazie alla scuola salviniana, il fiorentino si inserì nel circuito dell’erudizione italiana, tessendo carteggi con Ludovico Antonio Muratori, Giovani Gaetano Bottari e Scipione Maffei (quest’ultimo incontrato di persona a Firenze nel 1720): questi contatti gli consentirono di allargare gli interessi archeologici non solo alla Toscana, ma all’intera penisola, sebbene il territorio granducale rimanesse sempre al centro dei suoi campi d’indagine. I primi risultati di questi studi confluirono nelle Inscriptiones antiquae in Etrurie urbis exstantes, cominciate nel 1726, dove Gori raccolse circa 1800 iscrizioni greche e latine conservate in Toscana. Nel 1730 Gian Gastone de’ Medici lo nominò professore di storia sacra e profana presso lo Studio fiorentino; con l’avvento della reggenza lorenese, Gori fece parte della Corte per volere del presidente del consiglio Marc-Antoine de Beauvau principe di Craon. Da questo momento in poi l’etruscologo divenne una delle principali figure di riferimento per chi si recava a Firenze, come testimoniano gli incontri con Ferdinando Galiani e Carlo Goldoni. Nello stesso tempo Gori dette inizio a un'altra colossale raccolta antiquaria, il Museum Florentinum exhibens insignioria vetustatis monumenta quae Florentiae sunt (lo studioso riuscì a pubblicare solo sei dei dieci volumi in folio previsti), opera che andava a colmare un vuoto nella documentazione artistica di Firenze. Nel 1735 fu tra i dodici fondatori (col nome di L’Adescato) dell’accademia della Colombaria, nota per le ricerche in campo archeologico, epigrafico e numismatico. Gori fece anche parte della Crusca. Nel 1737 diede alla luce i due monumentali volumi in folio del Museum etruscum (1737), risultati di un tour incessante alla ricerca di antichità etrusche durante il quale lo studioso, assistito da tecnici e disegnatori, si era posto l’obiettivo di nobilitare la Toscana, ora che la crisi del Granducato si faceva man mano più stringente, attribuendole un passato ancora più glorioso rispetto a quello romano. L’opera innescò una feroce polemica tra il fiorentino e Maffei, in merito all’origine e all’alfabeto della lingua etrusca, anche in virtù di una personale interpretazione, da parte di Gori, delle cosiddette Tavole Eugubine, iscrizioni bronzee del III sec. a. C. che testimoniano alcuni rituali legati alla cittadina umbra. Il contenzioso, incentrato prettamente su a quale lingua, tra greco e latino, l’etrusco si fosse conformato, causò inoltre la rottura tra Gori e un altro grande studioso concittadino, nonché a sua volta allievo di Salvini, Giovanni Lami (1697-1770), con il quale Gori aveva contribuito alla fondazione, nel 1740, delle «Novelle letterarie», curandone la sezione antiquaria. Lami riaccese infatti la polemica in merito alle Tavole pubblicando le Lettere Gualfondiane, dove prendeva le difese di Maffei: lo scontro tra i due, a suon di pubblicazioni, giunse fino a Vienna, da dove il conte di Richecourt, presidente del Consiglio di reggenza toscano dal 1749, fu costretto ad emettere un giudizio di arbitrato. La lite con Lami in realtà celava un certo disagio, da parte di Gori, nei confronti del riformismo religioso e delle posizioni filogianseniste ormai dilaganti a Firenze, nonché della vicinanza dell’intellettuale alla massoneria locale, in un momento in cui il dibattito si era focalizzato sull’arresto del poeta Tommaso Crudeli (1703-1745), accusato di eresia. Erano state probabilmente le sue posizioni giudicate eccessivamente prudenti a far perdere a Gori la nomina a direttore della Galleria fiorentina nel 1738, nonostante l’appoggio di cui godeva nella capitale viennese da parte del marchese Bartolommei (vd. nota 3) e del potente nunzio apostolico Domenico Passionei, a scapito di Antonio Cocchi (1695-1758), i quali sostenitori sottolineavano come la carica di curatore fosse incompatibile con quella di prete e commerciante di antichità. Parziale indennizzo venne ottenuto da Gori nel settembre 1746, quando Francesco Stefano di Lorena lo nominò preposto del Battistero di Firenze, grazie all’intermediazione del senatore Giulio Rucellai. Gori, oltre che instancabile collezionista, non sempre rigoroso ma comunque guidato da genuini interessi che lo fanno in parte discostare da altre figure coeve di acquirenti seriali, fu noto per la sua attività di stampatore. Infatti l’abitazione fiorentina (in via Larga, oggi via Cavour), già dimora storica di altre personalità della città, ospitava la stamperia di Gaetano Albizzini e si configurava come centro nevralgico per la vita culturale di Firenze, anche in virtù di una fornitissima biblioteca, ceduta alla sua morte all’università di Pisa. Il fitto epistolario (composto quasi esclusivamente dalle lettere ricevute, per un totale di oltre diecimila carte e settecento corrispondenti) è conservato presso la Biblioteca Marucelliana. Una prima schedatura venne effettuata grazie alle indagini dell’archeologo Mauro Cristofani (cfr. Il carteggio di Anton Francesco Gori, a c. di Liuba Giuliani, Roma, cnr, 1987); a partire dal 1998 un nuovo progetto ha consentito la trascrizione dei testi all’interno di un database, tuttora consultabile (http://www.maru.firenze.sbn.it/gori/a.f.gori.htm). Da queste ricerche è nata la raccolta di studi L'epistolario di Anton Francesco Gori: saggi critici, antologia delle lettere e indice dei mittenti, a c. di Cristina De Benedictis e Maria Grazia Marzi, Firenze, Firenze University Press, 2004, meritevole di aver fornito un ritratto a più ampio spettro dello studioso fiorentino. Le carte goriane hanno inoltre permesso, nel corso degli anni, di ricostruire le ricche collezioni di antichità, delle quali mancano documenti che dimostrino in modo sistematico la loro composizione, tenendo conto del fatto che il mercato antiquario del tempo era piuttosto variegato, un affastellamento di intermediari, commercianti, speculatori e falsari. Seppur in mancanza di testimonianze precise, non riesce difficile pensare che anche M. fosse in qualche modo affascinato dalla figura di Gori, col quale probabilmente entrò in contatto in virtù dei forti legami che intercorrevano tra Firenze e Vienna. Oltre all’intermediazione di Mattia Damiani (vd. nota 2), possibile artefice dell’amicizia tra i due potrebbe essere stato Giovan Battista Passeri (1694-1780), già compagno di studi di M. a Roma, presso Gravina e in seguito collaboratore di Gori nella stesura del Museum Etruscum: in a Martorelli, 30 ottobre 1769, M. dichiara di aver ricevuto copia della Lettera sull’Etruria omerica (1768), nella quale Passeri spiegava la presenza di racconti omerici nelle favole etrusche col fatto che sarebbero stati gli antichi abitanti dell’Italia meridionale a importare questi componimenti in Grecia, e non viceversa, sposando la tesi di un «Omero egizio» e di una comune origine malaica-egizia delle lingue italiche e greche, suggestioni ereditate dagli insegnamenti graviniani (argomenti che saranno poi meglio affrontati dagli studi di Ciro Saverio Minervini (1734-1805). Fa sorridere peraltro l’ironico riferimento alla quasi indecifrabile calligrafia del fratello Leopoldo, definita «carattere punico etrusco» (cfr. a Trapassi, 12 giugno 1769). Va ricordato inoltre che lo stesso M. era stato insignito quale socio «estero» dell’accademia Colombaria. Pare che Gori riservasse una vera e propria devozione per il poeta cesareo: oltre agli esempi riportati nel commento di a Gori, 12 novembre 1740, notevole è il caso de Le muse fisiche di Damiani (Firenze, Giovannelli, 1954), opera dedicata a M., per la quale Gori curò la parte iconografica. Salta all’occhio, in particolare, il rame raffigurante un medaglione: su una faccia si trova un ritratto del poeta; dall’altro, M., indicato quale «apollini austriaco», è raffigurato assieme ad Apollo e alla musa Melpomene, intenta a porgergli una foglia di palma.

 

 

Bibliografia

- Giuseppe Nicoletti, Il primo soggiorno fiorentino di Ferdinando Galiani e il suo carteggio inedito con Anton Francesco Gori, in Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, Roma, Salerno, 1985, i, pp. 355-401;
- Miriam Fileti Mazza, Bruna Tomasello, Antonio Cocchi primo antiquario della Galleria Fiorentina, Modena, Panini, 1996;
- Maria Augusta Timpanaro Morelli, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766), Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1996;
- Fabrizio Vannini, Gori, Anton Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVIII, 2002, pp. 25-28;
- Annalisa Andreoni, Omero italico, Napoli, Jouvence, 2003, pp. 103 e sgg;
- Matteo Ermini, La cultura toscana nel primo Settecento e l’origine della Società Colombaria Fiorentina, Firenze, Olschki, 2003 (vd. in part. il capitolo La società Colombaria Fiorentina, pp. 49-73);
- Cristina Cagianelli, La collezione di antichità di Anton Francesco Gori. I materiali, la dispersione e alcuni recuperi, in «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria», LXXI, 2006, pp. 99-167;
- Clara Gambaro, Anton Francesco Gori collezionista: formazione e dispersione della raccolta di antichità, Firenze, Olschki, 2008 (vd. in part. la ricca bibliografia).