Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
La lettera di vostra signoria illustrissima, che decider dovea della sorte incontrata appresso lei da’ miei due componimenti poetici#1, ricevei ier l’altro sospirata con i voti più fervidi dell’animo mio. La ringrazio al sommo della bontà da lei avuto in tollerarne la lettura, e nel communicarmene il suo parere. Ma ella non potrà credere quanto mi sia riuscito più caro il sentimento dell’impressione che ha fatto in lei il mio povero Alceste, che non il poemetto in versi liberi su le Piante. Primieramente in questo potrei temere dalla verità in quanto all’elogio, di cui si è compiaciuta di onorarlo, a motivo della bontà sua molto propensa per me senza averne alcun merito: dell’altro non già così. Indi, perché m’è noto,
Ch’è del saper la critica figliuola#2,
e adesso solo a prezzo vile si trova l’infame gregge oppressor più d’ogn’altro dell’arti belle, e delle scienze, gli adulatori, e se vi sono dei critici, se non quando hanno oscurato nefandamente la fama altrui, non pongon fine ai loro destabili vituperi. Ma quello che ha maggior forza, è perché in esso vi trovo una infallibile testimonianza del sincero amor suo, e della premura del mio avvanzamento nelle lettere: duolmi solo che le sieno venuti a turbarle le sue occupazioni, e a frastornare un più presto ristabilimento della sua salute, del che n’è prova l’avermi scritto direi molto di più, se il tempo, e la salute mi permettessero di farlo#3.
Procurerò in avvenire di moderarmi dai latinismi però usati da me finora per averne avuto assai esimi esempi in poeti di alto grido.
Vorrei pure seguitare a comporre dei drammi in dì migliori per me se alfine verranno, benché la provincia drammatica sia la più difficile, e pericolosa in tutto il regno poetico: ma come non urtare in que’ scogli che sono stati per me fatali, e di cui una gran parte ancora presentemente non saprei conoscere, ed evitare?
Scrissi un’altra lettera a vostra signora illustrissima nella passata settimana, che accompagnava una nota al poemetto da me cangiato, ed accresciuto, e la mandai ad un mio amico che consegnassela a qualcuno che andasse a Vienna. So che non è partito, e la presente che scrivo allo stesso trasmetterò, onde le giugneranno amendue insieme, non so poi quando, perché non evvi notizia che alcuno sia per intraprendere il viaggio della Germania. In quella le scrissi che stava meglio della mia testa, ma nuovamente il mal peggiora, e non è poca l’agitazione cagionatami da pensieri tristi, e malenconici, e a grande stento ho risposto alla sua lettera.
Feci impegno, saran due mesi, per avere l’Artaserse vedovo. La persona che ne fè la richiesta era di garbo, non mi fu negato per alcun giorno. Me lo mandarono. Lo lessi più d’una volta, ma potrei dire, se a lui parlassi,
Oimè! Qual sei da que’ di pria difforme#4.
Non è più desso. V’è tal differenza da questo al veridico, ed originale, quale ne si ha tra un languidissimo parelio#5, e il sol vivace.
Ella continui, come ha fatto finora, a non sdegnarmi della amicizia con me intrapresa, e mi dia sempre delle così care prove dell’amor suo, per cui sempre avrò motivo di protestarmi ecc.
Modena. 19 luglio 1766
Il Poemetto sopra le piante e l’Alceste.
Non sarà l’unica volta in cui Rovatti commenterà frasi di M. a lui rivolte citandole testualmente.