Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
La premurosa sollecitudine ch’ella dimostra nell’ultima sua gratissima, di mia salute, è una veridica prova della sincera amabilità, e candor del suo cuore; e nel tempo medesimo un forte stimolo per me a darle ulteriori nuove di me stesso. Sappia ella dunque che pare che ormai cominci a stare un poco meglio; ma è un raggio debolissimo, e incerto di sanità, né mai mi assicuro ancor di studiare, perché di nuovo con più vigore non mi assalga il reo malanno, essendovi troppa necessità ai nervi, e alle fibre logore di un lungo ozio per ritornare nel loro, o quasi loro stato primiero. Non le posso esprimere bastevolmente il dolore che mi opprimeva, per esser costretto a fare una parentesi così lunga alle mie letterarie occupazioni, se non avessi conformato il mio al divino volere#1. È l’unico mezzo questo, onde sedare le tempeste del cuore, e della mente, e di addolcire con un mel sì soave le amarezze più disgustose.
Avea formato uscito fuori dalla pedanteria, e uscito (se m’è lecito il dirlo) nell’arena letteraria, una così alta idea delle scienze, che le ricchezze, il dominio, i divertimenti, e tutti gli altri oggetti deliziosi, e innocenti pareanmi un nulla, ed a queste mi era totalmente consacrato, avendolo per il tesoro più bello conceduto da Dio alla nostra per ciò solo non misera umanità. Ond’ella vegga, se giusto a più di un titolo è il mio dolore.
Un altro motivo mi ha indotto a scriverle, ed è un favore che bramo ardentemente da lei. Ma prima ch’ella intenda cosa desidero, conviene che due notizie le dia. Sappia in primo luogo che io voglio comporre, quando potrò soccombere alla fatica, due poemetti fisici in versi liberi. Sappia altresì che un galantuomo venerando per senno, e per età è impegnatissimo, perché io intraprenda lo studio fastidioso delle leggi, e deponga i miei di fisica, e di poesia. Io, comecché non mi sento miga inclinato a fare una così terribile metamorfosi ma neppure ad irritare questo reverendo pedante a lei ricorro, perché ogni nodo rimanga sciolto. Ella adunque, purché compiacciasi di favorirmi, scrivendo dimostri di pretendere da me poemetti in modo che sembri che io ne sia affatto all’oscuro: onde significando la sua richiesta al galantuomo, gli siano tarpati i vanni#2, ed abbandoni l’impresa. Piuttosto che altri sono ricorso a vostra signoria illustrissima, perché son certo un suo comando sarà appresso chiunque, sacro, ed irrefragabile.
Il primo poemetto sarà sopra l’Origine delle fontane#3; sopra i Crostacei, o sull’Origine de’ monti l’altro, ed amendue corredati di note. Ho un genio grandissimo a trattare in versi questi soggetti, ed a condire il numero di eletto balsamo del sapere, odiando le fanciullaggini, essendoché
Turpe est difficiles habere nugas,
et stultus labor est ineptiarum#4.
Se Dio concedemi e vita, e sanità ne voglio tessere assai, potendosene ricavare moltissimi dalla fisica più amena. La storia delle chiocciole, la formazion delle perle, le acque minerali, la ruggiada, il terremoto, e molte delle meteore enfatiche, ed ignite sono argomenti bellissimi al parer mio. Quello però che più diletta, è la storia naturale delle piante, che volgo in animo di trattare diffusamente in prosa, siccome anco fare un trattato sopra la forza elettrica attenendomi al sistema del Franklin, e del Beccaria, ed impugnando quello dell’Abate Nollet#5, che la materia ammette effluente, ed affluente. Nemmeno sfuggirammi l’astronomia. Vuo’ tessere un poemetto più poetico degli altri#6, in cui fingerò che Urania coronata di stelle, vestita di azzurro manto, e con un globo, e con la sesta in mano mi è comparsa in sogno, e mi ha condotto per tutti gli immensi spazi celesti. Qui trovasi un largo campo di far gran viaggio, e di molto discorrere, col ragionar degli eclissi, delle occultazioni, dei passaggi#7; delle stelle fisse, che splendono di lume proprio, e si credono in centro di un ciel planetario uguale al nostro#8; delle comete, delle macchie solari, della grandezza, e distanza de’ pianeti, dell’anello di Saturno, e di altre siffatte cose, ma in modo particolare de’ pretesi abitatori de’ corpi celesti, leggiadramente descrittici dal padre Kirker#9. Non mai intricherommi in argomenti logici, e metafisici, benché la rivelazione dell’idee del Malebranche, l’armonia prestabilita del sig. Leibnizio#10, e più la platonica reminiscenza potessero più facilmente aspirare di essere trattate in verso (se fossero sistemi da sostenersi), non avendo quel secco, che in tutti, o quasi tutti gli altri del loro genere si trova.
Ma intanto senza accorgermi, ho scritto molto. Intraprendendo discorsi filosofici, vado propriamente in estasi, né mai più la terminerei, se non rientrassi una volta in me stesso. Perdoni, mi seguiti ad amare, e mi creda qual sono sinceramente
Modena 19 novembre 1766
Nella lettera del 27 settembre, Rovatti aveva scritto che «una così lunga parentesi degli amati miei studi, è pur cosa per me tormentosa, e crudele».
Le ali.
A differenza degli altri progetti, il poemetto sarà tra le poche opere effettivamente stampate da Rovatti, con tanto di dedica a M.: Giuseppe Rovatti, Dell’origine delle fontane. Componimento poetico in versi sciolti di Giuseppe Rovatti scritto al sig. abbate Pietro Metastasio, Modena, Montanari, 1770. Si tratta di una delle prime epistole in cui Rovatti espone al poeta cesareo le idee e gli abbozzi di diversi scritti, solo pochi dei quali produrranno pagine a noi giunte. Può essere utile ricordare, per orientarsi, il catalogo delle buste miscellanee nel ms. γ X. 3. 1-10 conservato presso i manoscritti Campori della Biblioteca Estense (insieme al manoscritto del poemetto Della origine delle fontane. Poemetto fisico, mss. γ M. 3. 13 e γ Y. 5. 48, a Pioggia e Meteora, ossia note al poemetto delle pioggie, ms. γ M. 3. 14, e il Saggio sopra gl’insetti, indirizzo a Madamigella ****, ms. γ M. 3. 12): «Sono buste assai voluminose. La 1a oltre molte poesie sacre e profane, scritte negli anni 1767 e 68, contiene
parecchie lettere, non poche delle quali dirette al M. nel 1768 e 1871 [sic, 1781], riguardanti la storia naturale. La 2a racchiude diligentissimi studi su i bruchi. La 3a studi su i parassiti delle piante, su farfalle e meteore, più due miscellanee. La 4a esperienze su insetti ed osservazioni sulle acque di Querzola. La 5a contiene altri studii su insetti e bruchi, non che un trattato del gius, ma incompleto. La 6a un estratto di lunga lettera riguardante la storia medica, fenomeni e storia naturale. La 7a studi su gl’insetti dannosi alle piante. L’8a altre osservazioni su insetti e molluschi, su le malattie di alcune piante; più presenta 11 tavole disegnate egregiamente a penna. La 9a un poemetto sopra le piante, composto dall’Autore dal 1765 e 1766 e la 10a 124 lettere di [sic; a] parecchi personaggi» (Luigi Lodi, Catalogo dei codici e degli autografi posseduti dal marchese Giuseppe Campori, Modena, tipografia di Paolo Toschi e c., 1875, parte seconda, p. 559).
Mart. epigr. 2, 86, 9-10.
Le teorie sull’elettricità, comprese quelle sul parafulmine, descritte da Benjamin Franklin in Experiments and Observations on Electricity del 1751 vennero contestate dal maggior studioso di elettricità di Francia, Jean-Antoine Nollet, che postulava l’esistenza di due flussi di fluido elettrico, uno «effluente» che porta gli oggetti respinti lontano da un corpo elettrificato e uno «affluente» che li attrae verso di esso. Nel 1753 il fisico Giambattista Beccaria pubblicò il suo trattato Dell’elettricismo naturale e artificiale, dove veniva rigettata la teoria del doppio fluido a favore delle idee di Franklin, inserite all’interno di un sistema teorico più organico che attirò le lodi dello stesso Franklin e, più tardi, di Joseph Priestley. Si veda sull’argomento Davide Arecco, Da Newton a Franklin. Giambattista Beccaria e le relazioni scientifiche fra Italia e America nel sec. XVIII, Novi Ligure, Centro studi “In novitate”, 2009; Antonio Pace, Beccaria, Giambatista, DBI, IX, pp. 469-471.
Allude al progetto per il Viaggio de’ cieli, che verrà esposto in maggior dettaglio nella lettera del 29 maggio 1768.
Le eclissi avvengono quando un corpo celeste si interpone tra un altro corpo celeste e l’osservatore; l’occultazione si verifica quando il secondo corpo celeste è completamente nascosto, il passaggio o transito quando viene nascosto parzialmente.
L’idea già bruniana dell’esistenza di molteplici sistemi solari con al centro le varie stelle fisse divenne definitivamente popolare con gli Entretiens sur la pluralité des mondes di Bernard Le Bovier de Fontenelle del 1686, ma già l’Itinerarium exstaticum di Athanasius Kircher, pubblicato nel 1656, mostrava le stelle fisse con pianeti al seguito in sistemi anche complessi (binari o multipli).
Nell’Itinerarium exstaticum di Kircher ogni pianeta è abitato da creature angeliche diverse, dal coro celestiale di giovani su Venere ai vecchi melanconici che portano un falcetto e una scatola con incenso fumante (cfr. Athanasius kircher, Athanasij Kircheri e Soc. Iesu Itinerarium exstaticum quo mundi opificium id est coelestis expansi, siderumque tam errantium, quam fixorum natura, vires, proprietates, singulorumque compositio & structura, ab infimo telluris globo, usque ad ultima mundi confinia […], Romae, typis Vitalis Mascardi, 1657).
Il concetto dell’armonia prestabilita è uno dei più cruciali di Leibniz per il superamento del sistema rigido della res cogitans e della rex extensa cartesiano. Secondo la concezione del filosofo tedesco, le monadi nell’universo sono state create e predeterminate dalla «monade delle monadi», Dio, e pur essendo solo apparente ogni influsso e rapporto fenomenico tra di esse, ognuna contiene come rappresentazione implicita o esplicita la totalità delle altre, occupando esattamente il posto che le compete e consentendo una perfetta armonia tra anima e corpo, come due orologi che segnano la stessa ora; rispetto all’occasionalismo di Malebranche, tale armonia è appunto prestabilita, e pertanto non prevede il continuo intervento di Dio.