Allo stesso
 
La mia salute a gran passi si avvanza, onde non ancora moltissimo, ma non poco però attendo di già per tanto tempo abbandonati miei studi. Verso la fine d’aprile comincierò il poemetto sopra L’origine delle fontane#1, non potendo prima a cagione di un lungo, e faticoso studio, che lo deve prevedere, essendo questa una delle più laboriose parti della storia naturale, e non perché adesso chi ha senso in capo non riconosca i fonti dalle pioggie, e dalle nevi squagliate, e perché sia difficile ad immaginare ragioni che combattano gli avversari, e assistano i fautori della sentenza più plausibile; ma perché fra gli antichi, ed alcuni ancora fra i moderni hanno pensato a lor capriccio sistemi, se non in tutto, almeno in parte dissomiglianti tra loro: e perché a confermar la vera opinione non bastano poche prove; ma sono necessari ad essere portati in campo e calcoli delle pioggie che cadono, e dell’acque che portano i fiumi, ed altre moltissime naturali osservazioni, che adesso non posso minutamente trascrivere: e in fine la maniera che supponesi ritrovata una volta di depurare l’acqua marina dalle particelle saline, e bituminose accresce la fatica, e la pena a chi tratta questo fenomeno della natura#2. In mezzo a queste serie occupazioni non mi sono dimenticato delle Muse: ed eccole un picciol dramma#3, ch’è tutto suo, perché fatto a suo riguardo, e di cui la prego a communicarmi il veridico suo parere. Duolmi che la poesia drammatica non soffra annotazioni, che volentieri le farei, non per un vano desiderio di ostentare erudizione, ma per mostrare agl’ignoranti poetici dell’età nostra che la poesia è inseparabile dalla cognizione delle scienze, e delle arti: mentr’essi con quattro cantilene – «cose cantate già degne d’obblio»#4 – inviate ad una femina lusinghiera confidano di poggiare al Tempio dell’Eternità; ma invero di sé lasciano vestigia in terra «qual fumo in aere, ed in acqua la schiuma»#5.
          Avrei molte cose da comunicarle intorno ai miei studi, ma basti per ora di raccontarlene una sola, che non è stata per anco confidata ad alcuno. Ella sappia che m’è venuto talento di fare un Saggio di storia medica e naturale con ordine alfabetico, non però in maniera pedantesca, et indegna di un filosofo; ma seguitando le tracce del mio gran Vallisneri#6, di cui sono appassionatissimo per la sua incomparabile accortezza, ed ingenuo candore, e da cui duro una grandissima pena a distogliermi. Quest’opera non sarà fatta da me trascuratamente, ma nemmeno con gagliardissimo impegno così che mi tolga il tempo dovuto ad altri studi, ma di mano in mano che cose andrò leggendo, ed osservando, e mi sovverranno, le andarò a comodo mio trascrivendo, lasciando quelle ch’è stato da quel grand’uomo nel suo Vocabolario#7 trattato, essendo il mio un supplemento al suo. A tempo opportuno poi vi farò una lunga, e scientifica prefazione, in cui sarà mio assunto di esaltare la grande onnipotenza del Creatore, e di mostrare la connessione ch’hanno tra loro le cose create, che non a salti furon fatte dall’Autor sapientissimo della Natura#8; ma tra loro unite, e connesse a guisa di una prodigiosa catena. Ella guardi nel tom. 3 del mentovato gran medico#9, e gran filosofo, per formarsi un’idea della sua, e della mia impresa: e spero che la mia non sarà stimata da vostra signoria illustrissima di poco vantaggio, o almeno inutile affatto: tanto più che quel grand’uomo doleasi di avervi pensato solo nell’età sua cadente, onde non ha potuto ordinarla, et accrescerla, come aveva in mente e desiderava. Io sono intanto
 
Modena 10. marzo 1767.

Il problema dell’origine delle sorgenti era, tra Seicento e Settecento, un tema molto controverso, su cui si epressero anche Cartesio e Ramazzini; Antonio Vallisneri aveva pubblicato, nel 1715, la Lezione accademica intorno all’origine delle Fontane (in Antonio Vallisneri, Opere diverse del signor Antonio Vallisneri, vol. II, Venezia, appresso Gio. Gabriello Ertz, 1715), di cui il poemetto di Rovatti, pubblicato nel 1770, è chiaramente debitore.

Dalla Lezione del Vallisneri: «Tutti i principali interpretri [sic] della Sacra Scrittura […] e tanti altri antichi, e moderni, seguitati da illustre schiera di maestri in divinità e di filosofi, (tutti venerabili di lunga roba) pensarono, che ogni fonte, ed ogni fiume, chiamato perenne, venisse dal mare […]. Credevano (come dicono adesso i loro seguaci, dopo scoperto il moto vertiginoso de’ fluidi nel nostro corpo) che, siccome circola in noi il sangue dalle vene alle arterie, dalle arterie alle vene, così circolasse l’acqua, come per cunicoli, e sifoni nelle viscere della terra, travalicando dal mare a i monti, da i monti al mare, addolcendosi nel lungo cammino, col feltrarsi, e vagliarsi per arene, e terre, diro così, bibaci, i sali suoi addietro lasciando» (ivi, p. 4).

Non viene fornito il titolo di questo «picciol dramma» inviato a M.; è però probabilmente il Trionfo del Parnaso, che nel ms. γ. X. 3. 1 (c. 590) ha l’indicazione «Pensato il 13 febbraio 1767, cominciai ai 14, finii a dì 3 marzo: essendo stato interrotto da febri».

Ancora Algarotti, qui nell’epistola in versi rivolta al conte Cesare Gorani: «Tu ne vai ricantando in stil noioso / cose cantate già degne d’obblio» (Epistole in versi del conte Francesco Algarotti, in Venezia, appresso Giambattista Novelli, 1760, p. 52).

Inf. XXIV 15.

Nel 1726 Vallisneri aveva intrapreso la composizione del Saggio alfabetico d’istoria medica e naturale, pubblicato poi postumo nel 1733; oggi si può leggere in Antonio Vallisneri, Saggio d’istoria medica, e naturale, colla spiegazione de’ nomi, alla medesima spettanti, posti per alfabeto, a cura di Massimo Rinaldi, note biologiche con la collaborazione di Andrea Castellani, Firenze, Olschki, 2012.

Sempre il Saggio d’istoria medica, opera di carattere principalmente enciclopedico-lessicografico.

È il celebre natura non facit saltus di Leibniz, fatto proprio da Vallisneri – che attribuisce un maggiore o minore sviluppo dell’anima degli esseri a seconda della complessità della sua anatomia – e ispirazione per le lettere di Rovatti sulla connessione. Dalla lettera di Vallisneri ad Antonio Conti del 18 aprile 1727 (Antonio Vallisneri, Epistolario (1714-1729), a cura di Dario Generali, Firenze, Olschki, 2005, l. 1329, pp. 1468-1469): «Tutti i corpi organici, che hanno senso, che nascono, che crescono, che si sviluppano, e che a loro simili partoriscono, avranno la loro anima, come noi, e non sarà un peccato tanto pericoloso e mortale, nella filosofia, il credere che anche tutte le piante l’abbiano, imperocché veggiamo, che dalla pianta si passa al piant-animale, da questo all’animale più torpido, come le ostriche e simili, e da questi torpidi e poco sensibili viventi si rampica a’ più sensibili, e così di grado in grado si giugne a’ cani, alle scimie e ad altri animali, che mostrano nelle loro operazioni spesse volte più giudizio di noi, e finalmente all’uomo, animale tiranno di tutti, il più superbo, e sovente il più pazzo, che sia fra tutti. Se dunque consideriamo questa catena e progressione di anime, e veggiamo che nelle cose sensibili Iddio non ha voluto far salti, pare che venga legitima la conseguenza che tutte quante le anime sieno di un’istessa natura, lo che, se non fosse, oh che gran salto mortale si farebbe dall’anima de’ bruti materiale all’immateriale dell’uomo, che sarebbe lo stesso che dire da un orologio a un vivente!»

Il terzo volume delle Opere fisico-mediche del Vallisneri (Venezia, appresso Sebastiano Coleti, 1733, pp. 341) ospitava il Saggio d’istoria medica e naturale, con una lunga prefazione del figlio Antonio.