Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
 
La lettera sua data di Vienna il 20 di aprile, quanto gratissima, altrettanto inaspettata mi giunse, stimando io già smarrita quella, a cui ella risponde: motivo che m’indusse a scriverle, son pochi giorni, e a molestarla con nuova lettera, di che la prego devotamente a compatirmi.
          Si accerti non essere in me quello ch’ella per altro in me non sospetta: ma duolmi in vero di quegli assalti ipocondriaci che la tormentano. Non capisco però, come si possano chiamare affezioni isteriche i propri mali essendo questi dalle donne, cagionati da corrompimenti di follicoli, d’ovi, o  di vescichette linfatiche, ordinariamente per non potere acconsentire come l’altre femmine di genere puramente animalesco (per motivo di relligione), quando vogliono, alle tumultuanti, e veneree inclinazioni della imperversante natura, che pare che si voglia prender vendetta di quel giustissimo freno, con cui si modera#1. Anch’io era di quando in quando assalito una volta da una torbida ipocondria; ma adesso sono libero affatto, e voglia il Cielo che più non torni. Chi studia molto è soggetto a questo incomodo veramente importuno, ma che per altro tormenta bensì, ma non uccide giammai. Alle volte cagiona, siccome ho letto poco fa in una lettera erudita, e dottissima del Vallisneri#2, cagiona, dico, delle intermittenze di polso: ma non è cosa da farne caso, quando non venga l’intermittenza accompagnata da tenebrose vertigini, ed offuscazioni allora di vista, o quando continua non fosse: ma lasciando sovvente libero l’affannoso ipocondriaco, chiaramente dimostra esser sintomica, e provenire dallo stomaco, e dai nervi degli ipocondri da qualche agro, e mordace sugo irritati, e costretti a contraersi, e ad incresparsi; e questi essendo rami del sesto paio degli antichi, detto ottavo da’ moderni, che ascendono agli precordi, e un ramo particolarmente, che circonda l’arteria aorta, in tal guisa è cagionata l’intermittenza del polso, che dura finché dura l’irritamento. Pulsus hypocondriacorum intermittens non est metuendus, dice il Weinart#3 de affectione hypocondriaca, e con esso lui tutti gli altri; per testimonianza del mio gran Vallisneri.
          Godo che non le sia dispiaciuto affatto il mio picciol drammatico componimento; ma non sono persuaso ch’esso sia dottato di leggiadria, com’ella ha scrittomi; e in vero 
 
          L’arte vostra rivolta al mio decoro
          ben tutto può, ma troppo gran divaro
          è dall’esser di peltro al farmi d’oro
#4.

          Non è un mio vano desiderio bramar che la nota licenza viaggiando da Roma a Modena faccia la strada di Vienna; è il modo unico di ottenerla, non avendo altri amici, alla cui fede, e diligenza io possa abbandonarmi.
          Le mando intanto la notarella necessaria delle notizie che si desiderano, di me e si esigon di me; e supplicandola intanto a compatirmi, mi creda, qual sempre io mi sono professato con affetto inalterabile, e stima ecc.
 
Modena 3. maggio 1767.
 

Peccando di eccessivo letteralismo, Rovatti interpreta in senso medico la locuzione «affezioni isteriche» che, come si è visto (a Giuseppe Rovatti, 20 aprile 1767) M. utilizzava quasi proverbialmente; l’isteria era un disturbo esclusivamente femminile, per tradizione attribuito a uno spostamento dell’utero e alla conseguente astinenza sessuale. Solo a metà Settecento si cominciò a considerare anche gli uomini potenziali vittime di disturbi isterici.

È la citazione quasi letterale della lettera scientifica XXVII del Vallisneri: «[…] quell’essere parecchi anni che la molesta senza averla (la Dio mercé) mai uccisa, è segno chiarissimo, essere sintomatica, e venire dallo stomaco, e da’ nervi degl’ipocondri irritati da qualche agro mordente sugo che pugne i medesimi che si diramano in quelle parti, e gli sforza a contraersi, e ad incresparsi, i quali non essendo che produzioni, o rami del sesto paio degli antichi, detto ottavo da’ moderni, che agli precordi ascendono, e particolarmente un ramo che circonda l’arteria aorta appena sboccante dal cuore, quindi è che sono cagione dell’intermittenza del polso, finché dura l’irritamento» (Vallisneri, Opere fisico-mediche, vol. III, p. 578).

Ferdinand Karl Weinhart (1654-1716), medico personale di Carlo VI d’Asburgo e professore di medicina a Innsbruck, autore del Nucleus universae medicinae (Padova, apud Joannem Manfre, 1725), nel sesto libro della parte seconda, Affectio Hypochondriaca, p. 347. Rovatti legge comunque sempre da Vallisneri, Opere fisico-mediche, vol. III, p. 578. 

È il sonetto di Annibal Caro in risposta a Guarini Sterpo senza radice, e senza fronde (Rime del commendatore Annibal Caro, in Venezia, appresso Aldo Manuzio, 1569, p. 39).