Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
 
La lettera sua non poteva essermi più gradita, e più cara, dimostrandomi essa le sue premure, che sono una prova del suo vivacissimo affetto verso di me, che per altro non so di aver meritato giammai; e promettendomi con qualche speranza sicura la desiderata licenza. Le rendo frattanto distintissime grazie, e tanto maggiormente ella merita che tenuto le sia, quanto più osservasi l’eminente carattere, e l’altezza dell’illustre intercessore, e l’indefinita ineguaglianza di chi riceve sì bel favore.
          Non mando il viglietto del sig. conte Piccolomini per non ingrossare soverchiamente la lettera. Desidero bene di sapere, per non incorrere in qualche errore, qual sarà il dovere da compirsi da me, giugnendomi per avventura la mentovata licenza.
          Ho già cominciato da un mese in qua il lirico poema#1, né sterile affatto, né infelice né del tutto infelice mi riesce. Commuovami, ed accenda l’aura felice, onde riesca, se non altro, almeno uguale. Tra pochi giorni partirò di città per dimorare in villa sino alla fine di ottobre. In quelle veracemente deserte, ma a me carissime, et amiche solitudini, ove nacque la poesia, al garrir degli augelli, al sussurrar delle frondi, e al vaneggiar dell’aurette odorose forse seguiteranno a non guardarmi con torbid’occhio le Muse. Intanto esse ascoltino i voti miei, ed arridano alle mie speranze, ed ella credami, qual mi professo
 
          Poscritto
          Scrissi alcuna cosarella piacevolmente, non con animo di stendere con medica secchezza un consulto che per più più titoli né dovea, né potea fare, sulla differenza delle affezioni isteriche, et ipocondriache, non perché io fossi persuaso che venissero da lei intese per una sola istessa cosa. Cessin gli dèi l’augurio che io pensassi in una guisa sì sciocca. Pretesi tacitamente soltanto di conoscere (il che ottenuto ho dippoi) il mistero da un sì bel velame coperto.
 
Modena 23. giugno 1767.
 

Dell’origine delle fontane.