Al medesimo
Le fatiche vostre poetiche accennatemi nell’ultima vostra gratissima, per le feste nuziali degl’imenei napoletani, saranno ormai terminate#1, onde io posso scrivervi liberamente, ed a lungo.
Non vi potete immaginare quanto mi sia compiacciuto del vostro giudizio sulla mia epistola in versi, che non gode la totale vostra approvazione, avendo in esso io veduto quell’ingenuo, ed amichevol candore, che non posso mai troppo vedere, ed ammirare negli uomini. Ma riletta la lettera, non ho compresa quella sconnessione che voi dite trovarvisi, mentre in essa ho tenuto discorso del tenore soltanto, quale egli è, della mia vita, e di ciò che la mia mente va ruminando, mentre talora tacito, e tutto solo passeggio lungo le rive del nostro fiume#2. E a me sembra di essere passato da una cosa in un’altra, senza alcuna violenza. Ma non crediate che per questo io condanni per sospetto il vostro parere; anzi ho motivo di sempre più confessare giustissimamente la mia rozzezza, che del tutto si appaga: e la cagione più sempre crescemi di abbandonarmi alla vostra fede, mentre voi avete cent’occhi, e gli avete lincei. Nonostante la mia inabilità, proverò di mettervi mano, e di renderla meno indegna di voi.
L’altro dì terminai il poemetto tante volte nell’altre lettere accennatovi sull’Origine delle fontane, che mi è riuscito in circa di mille versi, né più restami a fare che l’ultima sola annotazione, in cui dovrò ragionare di acque sulfuree, bituminose, petrificanti#3 ecc. Dopo converrà ritoccarlo, poiché necessarissima è l’arte del distornare; e fattone farne copia, penserò per mandarvelo desiderando di ottenere di questo ancora il sincerissimo, e sicuro vostro parere. L’ho terminato parlando dell’augusto imeneo#4, ad imitazione in gran parte dell’Egloga 3 di Virgiglio#5, le opere del quale adesso io torno interamente a rileggere, essendo d’uopo risalire ai principi, siccome diceva un gran politico intorno agli Stati, per conservarli#6.
Se non m’inganno, vi comunicai l’anno scorso#7 che aveva in mente di lavorare oltre gli altri un poema astronomico ragionando delle stelle, delle eclissi, delle fascie di Giove, dell’anello saturnico, delle comete, delle macchie del sole, e che so io. Sto ampliando di gran lunga l’idea, e penso di dividerlo in otto canti. Nel 1° parlerò della Luna; nel 2° di Mercurio; nel 3° di Venere; nel 4° del Sole; nel 5° di Marte; nel 6° di Giove; nel 7° di Saturno; nell’8° delle stelle fisse: e in essi racchiuderò quanto più sode, e graziose idee poetiche mi sovverranno; quando di più vago, ed erudito si trova nella mitologia, nella teoria della musica; nell’antiche dottrine sulle cose celesti miste di fisico, e astronomico, e insieme di una misteriosa, ed oscura mitologia; proprio gergo, e particolare di que’ santi, e venerandi filosofi, e quanto raccogliesi ne’ sistemi de’ grandi uomini, particolarmente di Cartesio, e Newtono su i principi dell’universo, sull’attrazione, ecc., oltre gl’insegnamenti di Copernico, di Keplero, di Galileo nell’astronomia, e nella fisica, e di molt’altri filosofi reputatissimi, e venerati dalla fama, e dal tempo, e che hanno aumentato col suo la massa comune del sapere. Quello che sarà poeticamente, e con brevità toccato nel verso, verrà apposto in una assai lunga dissertazione, o trattato preliminare in prosa per intelligenza del poema, siccome adesso si usa; non già in nota, che per altro sono alla moda, svogliatomi di questa per quelle già fatte al poemetto delle fontane, che mi paiono di maniera pedantesca. Urania dev’essere la mia condottiera, e maestra. Ma come salire sì in alto? Hoc opus hic labor est#8. Converrà tormentarsi la testa, perché dal cerebro sbuchi una qualche idea forte, verisimile, vivace; o aspettare che essa venga, quando meno lo penso, da sé. In finadora ho la maniera, con cui però Dante saliva ne’ pianeti celesti, e vi sono i vortici del Cartesio#9; ma se un’altra più leggiadra, poetica insieme, e filosoficamente più vera mi sovvenisse, a quella mi atterrei; e in ciò desidero, ed aspetto un qualche vostro sentimento; perché quantunque abbian da scorrere parecchi anni prima che io mi accinga, continuandomi Iddio e vita, e sanità, alla non picciola impresa, non conviene però perdere tempo per raccogliere i materiali. Questo lavoro poetico è quello in cui mi sono più impegnato, e in cui maggiormente confido: e tra quelli che da me usciranno in prosa, è un altro, del quale ho fatto con voi parola, ma con appena nominarlo, e con mostrarlo sotto un aspetto diverso da quello, che veggovi frequentemente e di cui vi manderò in una altra lettera un leggero schizzo e un’idea che ve ne fornisca l’abbozzo.
Intanto amatemi, come solete, mandatemi de’ vostri, se non altro quattro soli, se avete tempo di farli, e se vorrete discendere a mandarli a me, e credete che vorrei pur dirvi, ma non posso farlo abbastanza, quanto io sia il vostro ecc.
Di villa 18. ottobre 1767.
Poscritto
Ricevei con la vostra lettera avuta il dì 8 di settembre#10, il secondo viglietto del Sig. Conte Piccolomini, e il tutto intesi. Ma duolmi invero che sia troppo dubbiosa la grazia che io desidero. Anch’io per la ragione che voi apportate, ho abbandonate le mie speranze. In ogni caso ci vuol pazienza, e converrà rimanerne privo per ora, ed abbandonarsi alla fede d’altri scrittori senza vedere le cose ne’ loro fonti, siccome ho dovuto fare sino al presente. Vi ringrazio intanto con distinzione, e mi confermo di nuovo protesto di nuovo ecc.