Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna

Modena 8. Xbre 1767.

Vi mando un brevissimo componimento drammatico in lode della vostra sovrana#1, ed alcune poche, e leggerissime mutazioni dell’altro picciol dramma#2 che vi mandai l’anno scorso, le quali potrete confrontare col manoscritto, se per avventura l’avete conservato. E vi prego con ogni più vivo desiderio a dirmi sinceramente il vostro parere intorno la stampa di amendue questi lavori, avendo in mente di pubblicarli, quando godano la vostra approvazione. Io totalmente mi abbandono alla vostra fede, non potendo per infiniti titoli desiderare, né sciegliere un giudice più esperto, e più opportuno di voi. Le mutazioni sono le seguenti ecc.
          Non vorrei che credeste che il non applicarmi presentemente all’opera astronomica fosse indizio di un genio errante. Potessi pur farlo, che volentieri v’impiegherei il mio ingegno; ma per ora non posso, non giugnendo a tanto le mie forze; né perciò voglio alzarmi adesso ad un volo troppo alto, sicurissimo già o di non sostenerlo, ed essere perciò costretto di dare addietro, o di fare una funesta caduta. Sapete che l’occhio si spinge più oltre del passo, e sovventemente per lungo tempo questo è costretto a rimanersi, mentre l’altro si agevola mirabilmente, e con magnifica disinvoltura la via in difficilissimi, ed ingombrati sentieri. Mentre vado raccogliendo, e preparando le diverse necessarie materie, non sembrami uno sconsigliato parere a fare altri scrittarelli e poetici, e in prosa, i quali benché non spettino alla provincia astronomica, però riguardano il regno filosofico: e in tal guisa esercito le mie forze, mi addestro a quel volo sublime; ed esperimento il valore per altro debolissimo di me stesso; e lo abilito per quanto da me si può, alla disastrosa, e difficile impresa. Tra poco tempo comincierò un poemetto fisico nel metro solito#3, ed a me dilettevole in su la pioggia#4: ed anco questo sarà scritto, e diretto a voi. Avrei con mio piacere intrapresa quest’anno un’opera, non in versi, ma tutta in prosa sopra I crostacei#5, e gli altri marini corpi, che su i monti si trovano, cioè come ivi si trasferirono, essendo verissime produzioni marine, ma mancandomi libri#6, l’ho abbandonata per ora. I libri del mio povero Giuseppe Riva, il quale benché da me non conosciuto, sarà sempre di tenera per me, e soavissima ricordanza, partirono di casa, dopo la veramente immatura, e precipitata sua morte, a un desiderio sovrano, che voi sapete essere un comando nei grandi; e quelli che mi trovo ad avere particolarmente i filosofici sono frutti delle mie industrie impiegandovi tutto il mio, null’altro avendo trovato in casa di materie filosofiche, se non le Categorie, e parte della Fisica di Aristotile. Nell’opera de’ crostacei avrei esaminati, e combattuti, dopo aver nominati, e brevemente esposte alcune piacevoli, e più degne di riso, e di compatimento, che di risposta galantissime opinioni, i sistemi di chi li crede scherzi della natura; di un dotto francese, che li vuole allevati, e cresciuti sulle montagne; di Woodward#7, che pretende che colà si ritrovino per opera del Diluvio; del Fracastoro#8, del Leibnizio#9, del Burnet#10, del Camerario#11, Buffon#12, Moro#13, e d’altri, che sostengono varie sentenze, e alle sostenute confidano di aggiugner lena; ed avrei in fine provato col mio Vallisneri, e con altri più ingenui che i nominati filosofi sistematici, che non possiamo per ora dir nulla su ciò, infin che alcuno non venga, cui meliora luto finxit praecordia titan#14; poiché questi sistemi si distruggono l’un l’altro a vicenda per le osservazioni, e riflessioni, che si son fatte, e si fanno. Avrei pur anco in fine parlato dello stato della terra avanti, nell’atto e dopo il Diluvio; dell’origine delle montagne, della struttura della terra, delle cagioni fisiche (per quanto in così buia oscurità noi possiamo comprendere), per cui gli uomini adesso vivon sì poco a fronte degli Antidiluviani, che lungamente viveano, e finalmente della cagion del morire, e del prolungamento della vita, ed in qual cosa essa consista. Questo verrà un giorno da me compito se non verrà troncato in fresca età il corso del viver mio. Intanto per ora io son contento che voi crediate che non cesserò mai d’essere ecc.

Modena 8 Xbre 1767

Si tratta de La festa degli dèi. Componimento drammatico per il felicissimo risorgimento della Cesarea Real Maestà di Maria Teresa imperatrice sempre Augusta, conservato nel ms. γ M. 3. 1 dei Manoscritti Campori della Biblioteca Estense di Modena; una nota conferma la datazione («ho pensato al dramma i 14 di novembre 1767. Cominciato ai 16 e finito al primo di dicembre 1767. Vi lavorai solo la sera»).

Il trionfo del Parnaso.

L’endecasillabo sciolto.

Il poemetto sulla Pioggia (mai pubblicato) è custodito presso i Manoscritti Campori della Biblioteca Estense di Modena, ms. γ M. 3. 14.

Si tenga presente che con «crostacei» Rovatti intende, per estensione, tutti i tipi di fossili marini.

Per questa mancanza di materiale di prima mano (si veda ad es. la difficoltà nel reperire gli scritti di Réaumur descritti nel carteggio con Spallanzani, in Spallanzani, Carteggi, cit., p. 140), spesso l’unica fonte a disposizione di Rovatti per conoscere i testi di naturalisti del passato, soprattutto stranieri, sono le opere di Antonio Vallisneri in suo possesso.

È la teoria che si legge in John Woodward, An essay towards a natural history of the Earth and terrestral bodies, especially minerals: as also of the sea, rivers, and springs, with an account of the universal deluge, and of the effects that it had upon the Earth, London, Richard Wilkin, 1702. L’inglese John Woodward (1665-1728) studiò soprattutto i fossili e le teorie sulla loro formazione. 

Si riteneva che Fracastoro, secondo una testimonianza di Torello Saraina poi ripresa dai maggiori naturalisti dei secoli successivi, tra cui Vallisneri, nel 1517 avesse respinto la teoria diluviana per l’origine dei fossili (si veda a questo proposito Silvia Sartori, Girolamo Fracastoro e L’origine dei fossili in una testimonianza di Torello Saraina, in Girolamo Fracastoro: fra medicina, filosofia e scienze della natura, Atti del convegno internazionale di studi in occasione del 450° anniversario della morte, Verona, Padova 9-11 ottobre 2003, a cura di Alessandro Pastore ed Enrico Peruzzi, Firenze, Olschki, 2007, pp. 157-162).

Nella Protogaea sive de prima facie Telluris, pubblicata postuma nel 1719, Leibniz aveva descritto la sua ipotesi riguardo alla formazione della Terra, criticando le teorie cartesiane e basandosi sulle posizioni di Agostino Scilla (le cui collezioni paleontologiche vennero acquistate da John Woodward) e Niels Stensen (Niccolò Stenone).

Thomas Burnet (1635-1715) espresse le sue opinioni cosmogoniche, influenzate da Cartesio, nella Telluris theoria sacra (1681-1684).

Elias Camerarius (1673-1734), professore di medicina a Tubinga, fu un oppositore di Woodward, che gli rispose con una celebre defensio nel 1714.

Il grande naturalista George-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788) parlò a lungo dell’origine dei fossili nella sua monumentale Histoire naturelle, générale et particuliére.

Anton Lazzaro Moro (1687-1764) si occupò in diverse opere del problema dei fossili marini, a partire dalla dissertazione Dell’origine de’ crostacei del 1737 e nel De’ crostacei e degli altri marini corpi che si truovano su’ monti (il cui titolo è ovviamente l’ispirazione per il progetto di opera di Rovatti) del 1740.

Ivv. 14, 35.