Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
Nell’atto che vo raffazzonando di nuovo il mio picciol poema delle fontane, il che non posso eseguire se non in momenti meno impiegati, e di balzo, mi si è risvegliata l’antica idea di publicarlo subito dopo di averlo interamente ripulito, o al mio ritorno in città, essendo già prossima la mia partenza per la campagna. Ma non voglio già condiscendere a questo mio desiderio quando voi non ne siate contento per due motivi. Primo in quanto al merito dell’operetta: ed in secondo luogo a riguardo di ella è cosa tutta vostra, e non più mia, avendola resa di vostra ragione con lo svestirmi di quel diritto che avrei avuto sulla medesima, se a voi non l’avessi offerta in dono. Ma ottennendo una tal licenza, sarà essa sì ampia, che io possa stampare il poemetto dedicato a qualcuno, se per avventura avessi mai inclinazione di farlo per aggradire al mio, o all’altrui genio#1? Ne attendo la decisione: la quale mi troverà con la disposizione veridica, non affettata, di non voler mai dipartirmi dalla vostra qualunque siasi o insinuazione, o legge. Ma come presentemente mandarvi le molte, e molte correzioni, ed aggiunte onde possiate confrontarle col manoscritto#2, e decidere del lor valore?
Vi sono intanto teneramente obbligato della paterna franchezza, con cui vi compiacete di scrivermi. Lettere di tal carattere non mi possono essere se non gradite all’estremo: riconoscendo in me la necessità di esser corretto, e chiaramente ravvisando la sincera et assidua vostra amicizia nella continuazione di una sì cara prova dell’amor vostro. E so dirvi dippiù che se trovate altro di reprensibile in me che trasparisca dalle mie lettere, cortesemente avvertitemene; sicuro che noi non potrete né ingannar, né ingannarvi, e certissimo di ricevere io le vostre paterne non che amichevoli ammonizioni non solo con qualche discreta moderazione, ma con piacere il più tenero, e con le lagrime agli occhi. Vi dico però che un poco troppo profondamente, e con sospetto avete interpretata la mia per altro sovverchiamente oscura lettera, essendo andata la vostra immaginazione più in là di quello che mi persuadeva che andasse: onde di mi fate credere che voi crediate che io pensi a cose che so ben dirvi non aver sognate giammai, non che ricevute plausibilmente ne’ miei pensieri#3. Ma questo non iscema per altro il mio giusto sentimento di gratitudine, dovendosi aver riguardo et attendere più che alle cose che vengon dette, alla disposizione dell’animo, della persona che le dice: e le vostre parole manifestano un’ottima disposizione del vostro bel cuore, alla quale io tanto debbo per più ragioni, onde sono costretto a credere che non potrò mai compensare di proposito ai miei obblighi inestinguibili che ho contratto con voi.
Addio, amico adorato. Vi rendo di nuovo i miei dovuti ringraziamenti della vostra affettuosa, e non mai abbastanza commendabile sincerità. E non vogliate mai credere che io possa prendere in mala parte qualunque cosa (anco in apparenza poco grata) che mi sia detta da voi; non arrivando tant’oltra la mia indocilità. Continuate ad amarmi per contraccambiare il mio amore, che giunge persino ad affannarmi, per voi. Entrate ancor voi medesimo meco in collera con la mia costituzione, che m’impedisce di vedervi una volta ed abbracciarvi: e a dispetto di qualunque o umana, o diabolica rivoluzione che potesse insorger giammai, invariabilmente credetemi ecc.
Modena 27. maggio 1769