Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna

Ricevei tempo fa inaspettatamente una gratissima vostra lettera, con cui vi compiacete gentilmente di avvisarmi che per mezzo del signor capitano Benincasa mi giugneranno alcuni de’ miei scritti richiestivi che desiderano nuove aggiunte: le quali procurerò subitamente di farvi, quando avrò un poco più d’ozio di quello che presentemente io abbia. Vi ringrazio intanto, siccome debbo, della bontà che usate verso di me e nel rimettere i sudetti scritti, e nel desiderio, che nella vostra lettera si appalesa, di vederne, quando che fia, il supplemento. Avrei voluto aspettare a scrivere finattantocché mi fossero giunti. Ma non sapendo, quando sia per arrivare il benevolo portatore; e d’altra parte dovendo scrivervi, affretto la mia risoluzione: e in quanto al piego, il non vedere voi niuno mio avviso, anche alloracché sia giunto qui in Modena chi ne ha preso l’incarico, è segno indubitatissimo che il dotto piego sarà relligiosamente arrivato: e ciò per non istancarvi con troppe lettere. 
          Ora scrivo, avvisandovi che da un garbato, e valoroso cavalierino tedesco mio amico, che spero si farà grand’onore negli eserciti di sua maestà imperiale, riceverete il mio trattato della Pioggia#1. Il poemetto sopra la quale non mando, perché non riuscito per anche di quella perfezione che vi può procurare il mio poverissimo ingegno: e voi sapete per una parte che i miei versi se non sono castigati ad unguem, e, s’è lecita l’espressione, dirò così finita con l’anima, non gli lascio uscire dal mio scrigno, come ragion vuole, e come i vostri insegnamenti mi hanno più, e più volte inculcato; e per l’altra è così isterilita la vena, che pare io non abbia in mia vita giammai un verso composto: benché dal 1763 a quest’oggi, computandoli tutti, ne abbia sfornati ventitremila all’incirca. E in fine potete credere, se in somigliante stagione i miei studi più cari mi lascino tanto d’ozio, che io possa, dirò così, orbolar per Parnaso, e cogliere alcuni ramoscelli di alloro. Non è poco che ne’ mesi scorsi interrottamente abbia terminata una lunga lettera in versi liberi sopra Dante#2, cominciata due anni fa, indirizzata a voi, e che vedrete fra poco.
          In alcuni momenti, ed in ritagli per così dire, di poco tempo, vi prego a leggere l’operetta che spero vi ritroverete per entro alcuni fatti curiosi che ho procurato di unirvi dopo una lunga, e laboriosa lettura sull’opere di antichi, e moderni scrittori: e ve ne ho ancora annicchiati alcuni pochi de’ miei. Non trascurate particolarmente, dove ragiono delle calde, e fredde bevande; che il leggerlo vi potrebbe essere per avventura utilissimo, avendo raccolto il fiore de’ medici più accreditati, e più savi: e l’esempio del gran principe degli anotomici, del nostro incomparabile signor Morgagni#3 forma una legge, ed un canone di una sì utile parte della più utile medicina, quella cioè de sanitate tuenda#4: bevendo questo buon vecchio#5 (per quanto mi vien riferito) da un mezzo secolo in qua sempre caldo.
          Scrivendomi, ditemi, se avete ricevuto saluti a mio nome da codesto dottissimo medico signor Storck#6, che ha scritto sì bene della cicuta; e al quale mi è piaciuto di scrivere una lunga latina lettera, per certo medico fattarello. Raccomandatemi a lui, e rinnovategli voi a bocca quello che gli ho in prima io scritto nella mia lettera, cioè che desidero la sua onorata amicizia. Se stimate decente, ostentate qualche leggerissima ombra di una apparenza di merito; se no, regolatevi a tenore di quello che vi suggerirà la vostra esercitata prudenza.
          Vi ringrazio del tenero vostro compiacimento per riguardo a’ presenti miei studi: e vi ringrazio con quella sensibilità che ben merita il candore della vostra sempre più bella, ed a me più cara amicizia. Dello scorso inverno ne ho passato, come sapete, una gran parte con i miei libri nel segreto recesso della mia villa; e così anche in una stagione apparentemente così nemica a’ desideri di un curioso osservatore, ho avuto libero campo di osservare cose poco osservate dagli altri, né di proposito, che io sappia. Ma l’avrò ancora più libero nel mio lungo soggiorno che ivi farò dopo Pasqua.
          Intanto felici voi! Feste, teatri, imenei, pranzi, concorso, grandezze delle più belle che vegga il sole, et altre simili cose che tanto lusingano il genere umano: ed io a tagliare la testa a una lumaca, a dividere un verme per lo lungo del corpo, ad osservare un legniperda terrestre o acquaiuolo a fabbricarsi la sua ingegnosa casetta, ad andare a caccia di farfalle, e di mosche; ed a perdere gli occhi nel microscopio, onde vedere un atometto semoventesi di un’infusione. Pure più mi dilettano queste cose che quelle; e mi diletta più ancora il potervi dire che io sono il vostro ecc.

Di città il dì 13. di aprile 1770

 

Già nella lettera del 24 agosto 1769 Rovatti lamentava che il poema, ormai arrivato a 1800 versi, aveva bisogno «ancor di un poco di lima».

È tra le poche opere pubblicate di Rovatti, due anni dopo: Epistola in versi di Giuseppe Rovatti sopra il poema di Dante scritta al Sig. Ab. Pietro Metastasio e dedicata S. E. il Sig. Marchese Alfonso Fontanelli Consigliere Intimo di Stato di S. A. S., Modena, Società Tipografica, 1772.

Il forlivese Giovanni Battista Morgagni (1682-1771) è considerato il fondatore dell’anatomia patologica, e occupò la cattedra di anatomia a Padova dal 1715 fino alla morte. Le sue maggiori pubblicazioni sono i sei Adversaria anatomica, pubblicati a partire dal 1706, e il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis del 1761. Gli Adversaria vennero acquistati da Rovatti nel 1770, come si evince da una lettera di Spallanzani (Spallanzani, Carteggio, p. 149).

Il De sanitate tuenda di Galeno era uno dei più noti testi in materia di dietetica.

Morgagni, al tempo della lettera di Rovatti, aveva già 88 anni.

Si tratta di Anton von Störck (1731-1803), divenuto uno dei medici personali di Maria Teresa dopo averla curata nel 1767 per il vaiolo. Fu anche rettore dell’Università di Vienna. Sulle proprietà benefiche della cicuta, considerata fino a quel momento solo un’erba velenosa, scrisse nel 1760 il trattato Libellus, quo demonstratur: cicutam non solum usu interno tutissime exhiberi, sed et esse simul remedium valde utile in multis morbis, qui hucusque curatu impossibiles dicebantur.