Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna

Appena ebbi ricevuta la vostra lettera, la quale al solito mi fu carissima, e mi tornò nella desiderata tranquillità per riguardo a’ libri, venne certuno ad annoiarmi nella mia camera con animo fermo, e risoluto, che vi scrivessi onde ottennere un qualche vostro poetico componimento per una festa nuziale. Risposi subito che senza scrivervi poteva francamente asserire, essere impresa impossibile, non che difficile, atteso all’età vostra poco dalle Muse, siccome m’avete scritto più volte, solleticata, e al vostro genio, e al vostro costume, e all’essere più di quarant’anni che non scrivete versi più per l’Italia; né fu ragione ultima per dispensarmi di scrivervi il riflettere che avendo ricevuto di fresco una vostra lettera, non aveva né motivo né occasione di farvene scrivere un’altra, anzi ne aveva in contrario per ragioni che non mi mancavano a dirgli. Queste autorevoli prove non bastarono a superare quel desiderio indiscreto, e a smuoverlo dalla sua troppo vivace risoluzione: onde mi convenne, per levarmelo di attorno, e per non irritarlo, essendo persona di qualche merito, promettergli ciò che bramava da me, con dire però seccamente di scrivervi, ma togliendogli affatto ogni speranza de’ bramati versi. Posto ciò adunque vorrei che mi scriveste gentilmente in due dita (in modo che io possa mostrar la lettera) accennandomi di aver ricevuta la mia, e di avervi io in essa parlato di questo affare poetico, pregandovi intanto a compatirmi, se vi abbia infastidito di nuovo, non avendo potuto, siccome avete udito, in modo alcuno esentarmene.
          Io poi sono fra i palpiti dell’imminente, e per me amarissima perdita della sorella del mio e vostro Giuseppe Riva, alla quale deve tanto la nostra casa, ed io segnatamente, che d’obblighi inestinguibili verso della medesima sono pieno a ribocco: consolandomi solo nel suo religiosissimo ed illibato carattere, di cui non si possono senza una tenera compiacenza osservare le tracce in questa sua ultima dolorosissima malattia, e mantenuto costantemente ab immemorabili sino alla presente età sua di ottantacinque e più anni: età che mi ha fatto ad ogni tratto in essa vedere non essere in tutti uguale a se stessa, né sempre simile alla descritta d’Orazio#1.
          Intorno a’ miei studi ogni cosa va bene. Sono poi stato in villa dopo la metà dello scorso mese, ed ho trovato cose sì pellegrine, che ne farò uso in più luoghi. Ho ritrovato particolarmente un numero grande d’insetti entro cave, e midollose piante, colà esistenti parte per condurre difesamente la loro vita in tempo d’inverno#2, parte perché colà annidano naturalmente nello stato di verme, e ninfa, e che debbono la maggior parte di questi svilupparsi in vespette, ed api salvatiche. Ho pure fatto di fresco curiose osservazioni sopra preternaturali vesiche di più maniera trovate nel fegato, e nell’omento#3 di porci ed ora in altri animali le cerco, dovendo queste servire pel Vallisneri: siccome servono pel sudetto altre osservazioni che ho tra mano sopra le uova delle galline, e sopra diversi insetti, che presentemente descrivo. Ma io levo la mano da questa lettera, mentre non la finirei così presto e con voi mi dimostrerei più indiscreto di qualunque altro. Oltrecché in questi momenti così funesti, ne’ quali scrivo più per abito che di proposito, sarei troppo con me stesso crudele, se volessi allegerire, scrivendo, il mio dolore.
          Amatemi, come mi avete amato finora; siate certissimo della mia esatta, e scrupolosa corrispondenza, e più d’ogni altro credetemi ecc.

Modena 6 gennaio 1771

P.S. Vi prego a dirmi, scrivendomi, se avete ricevuto un grosso piego a mio nome fin nella scorsa estate dal signor barone di Taufferer, e vi prego pure, parlandomi dell’interesse pratico, a scrivermi francamente che i vostri sentimenti non servono tanto per questa volta, siccome per altre, in caso che capitassero simili incommodi, a me sì molesti, dal secolo.

 

La vecchiaia incombente (il «funestus veternus» di Hor. epist. 1, 8) è tema topico oraziano in tutta la produzione poetica, specie quella più tarda (qui probabilmente agiscono anche luoghi come Hor. carm. 2, 14).

I meccanismi del letargo e della sopravvivenza all’inverno negli animali sono altri temi cari a Rovatti nelle osservazioni di questi anni. 

Una delle due formazioni peritoneali sierose che si estendono dallo stomaco al colon trasverso e dalla faccia inferiore del fegato al duodeno.