Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna

Il disimpegno fu fatto in modo per la vostra lettera, che io non poteva desiderarne un migliore; anzi ricevei mille ringraziamenti non meritati.
          Ora vi scrivo, perché vorrei stampare una mia lettera in versi, e vorrei il vostro consentimento, perché siccome diretta a voi, avete un diritto non ordinario su la medesima. La lettera è sopra Dante#1, da voi non ancora veduta, e fatta quasi tre anni sono, e da me con attenta cura corretta in modo che non saprei renderla (ancorché avessi il tempo di farlo) più castigata, e più giusta. Ho tardato troppo, a dir vero, a chiedervi tal licenza; mentre, se una signora di nobilissimo sangue, e d’alto merito ne accetta la dedica, io non sono più libero a publicarla, o a trattenerla. Ma voi, che docilissimo siete, e che abbandonandovi alla mia fede, potete credere essere la lettera, ambitione relegata#2, non affatto priva di qualche leggero merito; voi, dico, consentirete a codesta stampa, e mi scusarete di non avervi avvisato prima. Se voi non foste quell’uomo grande, siccome siete, non ne farei punto parola. Ma i vostri pari possono esigere che quando abbiasi a pubblicare uno scritto a lor diretto, ne siano a pieno giorno.
          Vorrei ancora che mi trovaste l’argomento di un piccol dramma della mole, e non più del vostro Orfeo, Alcide al bivio, Natal di Giove#3, e simili, che vorrei comporre non adesso, che sono circondato altamente da un gran numero di cose di più maniere, ma nell’inverno avvenire, avendo un poco d’ozio, e di pace. La mia intenzione sarebbe di procacciarmi alcun soldo, de’ quali io sono così sfruttato, e senza alcuna speranza abbenché languida di ottennerne in altro modo, che io sono costretto a far questue particolarmente adesso che non è più in vita chi mi era di quando in quando, sebben di rado, cortese d’alcun zecchino. Altre volte vi ho scritto su questo particolare; ma voi non ancora ben prattico de’ miei interessi, avete sempre fatto ostacolo a’ miei desiderii. Qui conviene, amico, disingannarsi. Le mie finanze sono ristrette a un numero così piccolo di fiorini all’anno, che avrei rossore di scriverlo; ed oltre questi poco, e quasi nulla di straordinario me ne proviene. Dall’altra parte sono tali i miei studi, che richieggono molti libri, e questi di valore non scarso e per la rarità loro, e per le tavole#4, e per le stampe non italiane ma forestiere, non pubblicandosi per lo più qui in Italia se non libri che io soglio col Vallisneri, chiamar da pomice#5. Innoltre gli ordigni, come microscopi, ferri, ecc. non assorbiscono pochi denari per chi non vuole i rifiuti altrui; onde vi posso dire di aver fatto non piccole spese per questi; anzi tutti quelli che mi trovo ad avere non sono da me interamente pagati, avendo non poco debito col mio amatissimo signor Spallanzani, che me ne ha provvisto, ed aspetta per amicizia a riscuotere i suoi crediti ogni mia comodità#6. Aggiugnete che le mie esperienze sopra le salamandre, e su i rospi (che parlando di questi ultimi, ora incomincio) nelle ristrettezze mie non sono oggetto di una corta veduta. Quanti animali sono il soggetto di queste; come cani, gatti, galline, colombi, ecc. non gli posso ottennere se non comprandoli; per non dir nulla delle rane, dei pipistrelli, delle salamandre istesse, e dei rospi, e delle lumache e parte de’ vasi numerosissimi entro i quali custodisco ogni cosa, che, persino a costoro, tutti sono a mio carico, ed ogni dì più mi aggravano. Se non mi fossi appigliato a questi studi così dispendiosi io non avrei cosa a desiderare. Ma il mio genio per essi, che non potrà mai farmi abbandonare l’intrapreso camino, mi rende ardito bastevolmente, onde cercare qualche alimento a’ medesimi.
          Dalla stampa delle mie cose nulla posso ottennere. È impossibile di pubblicarle a mie spese, mancandomi onde pagare lo stampatore e la carta, e di più non avendo giro bastevole per esitarne le copie: oltrecché sarebbe un perdere molto tempo, e una distrazione infinita. Le copie che mi regala lo stampatore sono poche, e appena avute svaporano: anzi so che alcuni di me si lagnano, perché gli lascio a muso secco; ma questo mi importa poco. Resta il regalo delle persone, a cui quando pur si ritrovino, se ne fa dedica. Ma per lo più regali di simil fatta, si desiderano, ma non si ottengono: almeno finora ho provato una tale per lo più costantissima verità. Codesto secolo così pazzo per la grandezza trova tesori da profondere miseramente Dio sa dove, e non trova alcuna ghinea, onde mostrar gratitudine alle persone di lettere, che le meritano più degli altri: se non per altro, perché non impiegano male il lor tempo.
          È verissimo che un qualche giorno non sarò più nel caso in cui mi trovo. Ma a me che importa il ravvisar da lontano un oggetto che abbisogno di goder da vicino? Allora sarò vecchio, se pur vi giungo, e con un piede almen nel sepolcro. E come potrà allora giovare qualche ricchezza a’ presenti miei studi? Io se alcun lampo di quella desidero, è unicamente per questi; mentre per altro secondo me le ricchezze sono un oggetto d’indifferenza, anzi piuttosto d’abborrimento; null’altro queste facendo (quando siano più del bisogno) se non tenere pericolosamente invischiato il nostro animo ne’ beni così cadevoli di questo mondo.
          Se non parlassi con un amico che sa che io parlo candidamente, potrei non essere per avventura creduto, né aprirei così fino al fondo il mio seno. Ma io sono sicuro che voi presterete fede a’ miei detti. La rarità del mio studio tra noi fa credere a chi è ristretto in piccola sfera, e poco innoltra il suo guardo che sia cosa inutile, per non dir biasimevole: onde, posta codesta idea, non è capace di rimuovere quegli ostacoli che se in altra occasione sariano difficili, ora sono impossibili da superarsi. Non è molto che abbia libero il tempo, e non mi si tolga per impiegarlo in occupazioni dimestiche.
          Ho delle belle, e vaste idee: ma come eseguirle in tali angustie: resteranno sempre soli progetti, sempre in mio campo, e non altrove? Un piccolo dramma sembra opportuno al bisogno, almeno in parte, onde procacciarmi certe cose necessarissime, che ancor mancano. Più volentieri avrei la mira a un dramma maggiore. Ma io mi ritrovo inabile a farlo: e supposta ancora quella abilità che non ho, non potrei acconsentire a una parentesi così lunga delle mie occupazioni consuete, che ancora soffrono mal volontieri le piccole.
          Io vi ho aperto tutto quanto il mio cuore, perché conosciate ancor voi, non essere una specie di avvilimento il tenore de’ miei pensieri, ma una indispensabile necessità per ottennere i mezzi onde giugnere al fine desiderato. Non vi trovo una via intermidia. O abbandonare gli studi naturali, o aver modo di farli. Quelli non posso adunque acconsentire a qualche utile ricerca per questi. Voi secondate in tanto i miei desideri. Rimanga eternamente fra noi questo tratto di amichevole confidenza, e così da lontano, abbracciandovi a nome del signor Brandoli, e a nome mio, sempre più mi crederete, qual mi professo ecc.

Modena 16. marzo 1771


P.S. Indarno ho desiderato finora un portatore benevolo del poemetto delle Fontane. Ma spero di poterlo mandar tra non molto con la lettera in versi di cui ho parlato in principio, e con altra in prosa sopra le salamandre.
 

Ancora la lettera a cui si allude nella missiva a Pietro Metastasio, 24 agosto 1769.

Hor. sat. 1, 10, 84.

L’azione teatrale Il Natale di Giove andò in scena nel 1740 per il compleanno di Carlo VI, mentre la festa teatrale Alcide al bivio fu musicata dall’Hasse e rappresentata per le nozze di Giuseppe II e Isabella di Borbone nel 1760. L’Orfeo, invece, è l’Orfeo ed Euridice di Calzabigi e Gluck, che erroneamente Rovatti attribuisce a M.

«[...] le mie finanze sono ristrette, e quello, che ordinariamente me ne proviene, è assorbito da varie opere, a cui mi sono associato, per non dire di certi libretti, che capitano alla giornata, e che mi sono necessariissimi» (a Lazzaro Spallanzani, 22 novembre 1770; in Spallazani, Carteggio, p. 157).

«[...] certi compendi, o librattoli senza sugo, ch’io soglio chiamare libri di pomice» (Vallisneri, Opere fisico-mediche, vol. II, p. 146).

Sul microscopio prestato da Spallanzani a Rovatti cfr. Spallanzani, Carteggio, p. 150.