Solara, 14 novembre 1771

Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna#1

Più volte, da che ebbi nello scorso mese di giugno la vostra lettera, ho presa la penna in mano per scrivervi; ma l’ho gettata ogni volta, superando il mio desiderio con il riflettere che allora eravate forse impiegato in qualche lavoro poetico per le feste nuzziali de’ serenissimi sposi, di poi celebrate con tanta gloria in Milano#2
          Ora che sarete esente non solo da quello, ma da quanto poteva per esso circondarvi, ed appartenervi, vi scrivo per dovere, per genio, per costume, e per qualunque altro motivo che stimula dolcemente un amico a partecipare ad altro amico le proprie cose.
          Do seguito con calore ancor maggiore di prima ad innoltrare i miei sguardi nel seno della Natura per riguardo agl’insetti. In quest’anno, particolarmente nel mese di ottobre ne ho osservato molti di natura assai curiosa, parte de’ quali sono affatto ignoti#3, e parte menzionati appena da’ migliori, e più oculati scrittori. Costoro per lo più sono api, e vespette selvaggie di amenissima tempera, e di costumi curiosissimi dottate per l’ingegnosa maniera di sciegliere, e fabbricarsi i lor nidi. Di somiglianti animaletti, i quali per così dire, si elevano su la comune degli altri, e sono maggiormente capaci di eccitare la nostra curiosità, fu maggior richiesta degli altri, e nella fine dell’anno avvenire ne avrò sicuramente un tal numero, onde lavorare un’operetta che spero dovrò riuscire curiosa, essendo amene le storie per sé medesime; e procurando di metterla insieme con qualche castigatezza, e con esatta cautela, per essere la prima, a quella che dovrà aprir la mia scena. Verrà poi seguitata da un’altra, o da altre due (a tenere della mia più, e meno felicità di scoprire insetti curiosi molto) di simil genere, o lavorate con somigliante artifizio, e attenzione.
          Nello stesso tempo all’incirca che uscirà la prima mentovata operetta, uscirà pure la seconda lettera sul veleno delle salamandre acquaiuole. Cento cinquanta e più sperienze mi trovo ad avere ne’ miei giornali sovra tale materia; ma altre trecento ancora mi mancano, per compiere i miei disegni, essendo, per certi fatti, delicatissima, ed intricata simil materia. La prima lettera trattante l’argomento istesso, di cui vi ho parlato altra volta, non è ancora stampata, perché lo stampatore che mi aveva promesso d’imprimerla a proprie spese è uscito d’impiego, ed io non ho tanto, onde possa essere impressa a mio carico#4. Ho però qualche speranza di vedere una volta finita questa faccenda, essendo mezzo a contratto con un ebreo non stampatore. Vorrei da esso quaranta fiorini all’incirca; egli la faccia imprimere, ed ogni guadagno sia suo. Se la cosa va bene appigliandosi egli al mio prestito, impiego subito il ricavato danaro, nella stampa della epistola in versi sopra Dante, a voi diretta, essendo da molto tempo già preparata; e con quanto potrò con essa riscuotere, vendendone gli esemplari, mi libererò da’ miei debiti, almeno in parte, fatti co’ miei amici, per comprar libri, e microscopi. Senza tale esterna assistenza, non gli pagherò così presto. Ho più di cento fiorini di debito; e soli cinquanta all’anno mi provengono da mio padre; e venti almeno di questi non sono liberi, dovendogli impiegare in cose necessarie alla vita, a cui sono costretto a pensare.
          Poco dopo sarà pure preparato del mio, un altro libro più grande, e spettante a cose diverse: cioè alle riproduzioni animali, dietro alle quali ho lavorato, e m’impiegherò l’anno avvenire 1772 stimolato dal signor Spallanzani#5, che desidera che io confermi con mie osservazioni le sue scoperte e diverse, e lunghe lettere spettanti alla storia medica, e naturale; a un laborioso trattato intorno a’ vagiti uterini; cose già tutte fatte, e forse chiuderò il libro con una breve raccolta di osservazioni minori, delle quali ne ho alcune ne’ miei giornali: cioè intorno alla muffa; alla materia gettata dalle farfalle uscendo dalla crisalide; a certa materia, trovata nella tela cellulare di una gallina; sovra ad un tumore di un pomo; un fungo di rara struttura, e alcune piccole storie mediche particolarmente spettanti a’ mali delle donne: ed altre varie spettanti agl’insetti, e particolarmente esperienze fatte su loro col freddo.
          Sono pure a buon termine della raccolta de’ materiali intorno ad altra operetta: cioè agl’insetti de’ cavoli, de’ quali ne ho trovato di più maniere, e per tacere degli altri, dieci spezie di bruchi, tutti laboriosamente da me descritti, e seguitati (toltone quelli di cui vita non è ancora compita) sino all’ultimo termine dello sviluppato volatile.
          Mi trovo ancora ad avere 10, o 11 storie d’insetti delle rose, le quali abbondano di molti animaletti di vario genere, conoscendone trenta, o più spezie, la storia della vita dei quali voglio insieme unire, e stamparne un libro da sé.
          Dal novembre dell’anno scorso a questa parte ho ancor fatto un numero grande di osservazioni sopra le spugne delle rose salvatiche, dette cinorodoi, o rovo canino: e la storia di questa spugna, che non è altro che una spezie di galla, crinita, o capelluta, abitata da verminetti, formerà un libriccinolo da sé medesima#6.
          Di questa ne parlò Aristotele, il Vallisneri in più luoghi, sebbene non di proposito, la disegnò il Malpighi nel suo trattato tanto stimato De gallis, e in fine più a lungo favellarono lo Swammerdamio in una piccola memoria a parte; uno de’ curiosi della Natura di Germania nelle loro effemeridi; e meglio di tutti il Reaumur nella sua lunga memoria sopra le galle. Ma questi per altro sì grandi, e così venerati scrittori non hanno detto la minima parte di quello che ho visto io; essendo forse loro mancato il tempo d’impiegare sì a lungo in una sola spezia di galla le loro penne così grandi, e benemerite; o non vollero entrare in osservazioni così minute. Io ne ho fatto un gran numero, prendendo la cosa in molti punti di vista: onde mi è convenuto di aprirne pazientemente più centinaia, per non dire delle migliaia; e molte e molte osservazioni ancor più mi restano a fare sovra lo stesso soggetto. 
          Tutte queste opere saranno per così dire i prolegomoni di altra grand’opera su gli insetti: che non potrò pubblicare, se non nella più annosa età mia, quando iddio pur mi conceda una lunga vita. Se no; passeranno i miei giornali in mano di qualche ignorante, che farà loro sentire ciò che accade comunemente alle vecchie carte: non sperando in tal caso la fortuna del per altro sfortunato Aldrovando#7, a cui non mancò chi mettesse insieme, e stampasse dopo della sua morte gran numero di osservazioni da lui raccolte, e preparate, ma esistenti ancora in giornali, o per così dire non incastrate in opera consumata. Io mi vo consolando che sono ancor giovane, non avendo neppur venticinque anni; onde se non muoio immaturo, mi restano ancora diversi anni di vita. Per questa mia opera ho già a quest’ora trenta, e più storie d’insetti, alcune delle quali sono affatto compiute, e laboriosissime.
          Negli scorsi due inverni ho ancor fatto molte osservazioni minute, e curiosissime su la maniera con cui gl’insetti si custodiscono nella fredda stagione, ed altre analoghe a queste; intorno alle quali niuno si è di proposito esercitato. Per altri due, o tre anni ne voglio radunare altre molte, indi stenderle in un’operetta a parte, che potrò stampare con altre a questa consimili, ad altre cose spettanti. Queste sole mi costano molte fatiche, dovendo stare intiere giornate ne’ mesi più orridi di dicembre, e di gennaio, esposto a qualunque urto dei venti, a freddissime nebbie, alle pioggie, e qualche volta ancora nell’acque; come ieri appunto mi accadde (sentite ancor questo, giacché racconto anecdoti della mia vita) sdrucciolato essendo con le gambe in un fondo d’acqua mezze agghiacciate, nel pescare insetti acquaiuoli, per essere pericolose rive e così molle, e inzuppato nelle medesime stetti per lungo tempo sino al fine della pesca, finché un poco mi asciugai in una casa vicina: e questo mi è accaduto altre volte in mesi ancora più freddi.
          Tutte queste mie narrate osservazioni (toltone parte delle invernali poco fa mentovate) aggiungendovi ancora quelle che riserbo per la ristampa del Vallisneri (che sono pur molte a quest’ora) sono state fatte da me solamente dal mese di maggio dell’anno scorso a questa parte. Quelle che feci nell’anno 1768, che fu il primo anno che mi misi ad investigare gl’insetti, quasi tutte sono da me neglette, e disprezzate, non fidandomi delle prime osservazioni e solo compiacendomi delle medesime, perché mi hanno aperta la strada, onde poter far le presenti. Nell’anno 1769, osservai pochissimo la Natura, avendo impiegato gran parte di quello a stendere alcune opere; cioè compiere il trattato della Pioggia, che nel ’68 aveva solo per metà lavorato; formar la seconda lettera molto lunga intorno alla connessione delle cose create, per la quale dovetti leggere molti libri#8; altre lettere spettanti alla storia medica, e naturale, che sono quelle che stamperò un altr’anno, e un laborioso trattato sopra gl’insetti#9 di seicento facciate manoscritte; per non dir nulla di varie operette pratiche, avendo fatto in quell’anno duemila, e più versi con una sterilissima vena; onde mi convenne impiegarvi un tempo indiscretissimo.
          Questo trattato sopra gl’insetti ho in animo di stampare tra non molto, quanto trovi chi il voglia imprimere a proprie spese: mettendovi prima però nuovamente le mani, e facendovi molte aggiunte. In esso è raccolto l’essenziale di questa provincia di naturale istoria, osservata in ogni sua parte: il che forse potrà servire per chi voglia appigliarsi a questi studi. Per quanto ora posso comprendere, uscendo il libro, sarà un volume in buon quarto. Per ciò che risguarda alle note alle opere del nostro gran Vallisneri, sempre più mi cresce all’occhio, e alla mente la vastità di codesta scena. Ho già radunato per esso altre mie osservazioni sovra diverse materie, oltre quelle che tempo fa già vi scrissi di aver raccolto; e più centinaia me ne restano a fare su materie ancora più eterogenee: il che esige molt’anni, a cagione di avere in questo frattempo da farne altre di altra fatta per le mentovate mie opere#10.
          Pel Vallisneri sudetto, converrà che mi abiliti nell’anatomia, andando un qualche inverno a Bologna, o a Padova, o a Pavia: ma più facilmente a Bologna, essendo que’ professori piuttosto poveri, e assistono più volentieri e più attentamente per aver quello di che abbisognano: a ciò per aver campo di fare osservazioni sopra le femmine degli animali vivipari, le quali saranno aggiunte alla sua grand’opera Della generazione ecc. Converrà ancora che io intraprenda il giro de’ nostri monti (avendo egli nel tomo 2 delle sue opere una raccolta d’osservazioni fatte su quelli per riguardo a salse, fonti d’olio di sasso, laghi, miniere, ecc.) e colà avrò campo di fare infinite osservazioni cominciando là dove il nostro autore ha terminato; o correggendo, o variando, o modificando, o confermando le sue, secondo il bisogno. Ma almeno per queste esperienze, come pel viaggio mi vorranno quattrocento fiorini; e come averli? Io spero però che Iddio mi aprirà qualche strada. Oltre la spesa, converrà ancor fare di gran fatiche per la lunghezza, e difficoltà del camino. Ma questo non mi spaventano, essendo già più che avvezzo a qualunque ingiuria della stagione, e dell’aria senza che se ne risenta la mia salute: anzi essa si fa ognora più florida in mezzo agli strapazzi, e alle fatiche; e sono quasi divenuto un valido atleta; dandone gloria, come è ben dovere, all’Altissimo, che mi protegge senza averne alcun merito. Se voi sapeste tutti quanti i fatti della mia vita, vi sembrarebbono forse stranissime maraviglie; tollerando impunemente i soli più caldi, i freddi più orridi, le nevi, le pioggie, i venti, il digiuno di giorni intieri, per più leghe di camino anco difficile e a piedi; ed essendo capace di passare intieri mesi senza dormire sul letto, e fra l’anno per lo più dormendo vestito, e come al giorno ritrovonsi. Quando cominciai a risorgere dal mio stiramento di nervi al capo, avuto cinque, o sei anni sono, era bensì così floscio, e sfinito che solo destandomi un’ora prima del consueto, conservava per due, o tre giorni una testa così vappa, e sfasciata, che diveniva incapacissima di qualunque applicazione, ed ogni cosa mi facea male. Ma ora ancorché passi più notti affatto senza dormire, mi ritrovo così agile, come se avessi dormito trenta sei ore: segno della mia già rassodata, non più capricciosa salute.
          Nella fine dello scorso mese sono stato a Scandiano#11, luogo vicino a’ monti di Reggio, meco portando i miei insetti più necessari. Colà ho fatto inchiesta, e raccolta di minuti anecdoti della vita del Vallisneri sudetto, essendo Scandiano sua patria. In que’ siti all’interno ho pur trovato bruchi o locuste di più maniere, vespette selvaggie, formica-leoni, diverse spezie di galle, spugne, ricci, coccole, le quali tutte si riducono alla numerosa famiglia delle galluzzole. Ho pure osservato per que’ colli, e monti circonvicini vagando, pietruzzole di più maniera, spurie cristallizzazioni, siccome anco intieri colli di solo gesso formati, la miniera di già sfruttata del zolfo#12; ed una famosa salsa situata 6 miglia al di sopra di quel castello, su la quale ho fatto minute osservazioni. Aveva questa sei bocche, da cui esce fango continuamente, e nel tempo che colà mi tratenni, altre cinque piccolissime se ne formarono.
          Col fango esce ancora un olio nero di sasso, il quale assaporato non mi riuscì così fetido e ingrato, come decantano, ed assaporando pure quel fango era salmastro, ed è gratissimo alle pecore ed alle capre.
          Quanto l’amor delle lettere sia capace di esercitare le sue funzioni, per non dir la sua tirannide sul cuore umano, non solamente lo conosco dall’essermi consacrato alle medesime; ma l’ho maggiormente ancora provato nella primavera, ed estate scorsa. Io aveva perduta così la mia pace, era immerso in così dolorose vicende, ed agitato da tante parti, che disperava di mai più ritrovare tranquillità; un gruppo, per così dire, di circostanze (non già derivanti da alcuno della mia casa essendo amato da tutti della medesima) mi si erano così affollate all’interno che sarebbono state capaci di tormentare dieci persone non che una sola. In mezzo a un tormento sì doloroso i miei studi mi erano divenuti un oggetto di abborrimento, e gli risguardava come un tristo dovere, e un peso ingrato. Ciò non ostante non gli ho mai tralasciati, anzi con calore gli promoveva, e, abbenché con l’animo incentrato in me stesso, e pensante a’ miei guai, cercava insetti con attenta cura, e gli osservava con scrupolosa esattezza risguardando lo studio come cosa naturale, e dimestica: siccome è cosa dimestica ma natura umana il dover prender sonno, ed alimentarsi. Non vi posso abbastanza esprimere quante cose mi vagarono per la mente in alcuni momenti più torbidi di quel tempo sventuratissimo. Oltre le altre risoluzioni tutte eterogenee fra loro mi erano risvegliate le antiche, e da lungo tempo già deposte mie idee di militar negli eserciti di un re soldato, il che aveva desiderato ardentemente otto anni prima, quando era giovanetto di sedici anni, solo appagantemi, tra le cose umane d’armi, di cavalli, e di poesia, vigorosissimo della persona, e non ancora rovinato da quegli studi che tre anni dopo mi avevano ridotto in uno stato assai tristo.
          Molte di queste cose aveva unite in una lettera in versi a voi scritta, che poi non mandai, ma che se vi piace vi manderò capitandomi occasione, onde spedirla fuori di posta. Ora ne sono uscito, indubitamente per opera dell’ottimo misericordiosissimo Iddio, al quale aveva fatto ricorso, che dopo di aver provato (poste simili circostanze) la mia tolleranza, mi ha condotto quella calma che appunto desiderava; ma che disperava di ottennere più che mai. A questa molto contribuì ancora la morte di un amico che io amava quanto la vita, e che vidi estinto sul proprio letto (dopo lunghissimo, e ferocissimo, mal di petto, come mi dissero) senza averlo potuto rivedere anco una volta prima del morire essendo io accorso poco prima degli estremi suoi palpiti, e già volli lasciarlo con Dio, a cui era sì unito. Io provai un così vivo dolore per una morte sì inaspettata, che m’involò quasi a me stesso, e questa viva, e tenera affezione dell’animo seppe concorrere a mettere in calma la prima, benché maggiore, almeno ne’ suoi effetti, più irregolare, confusa, e di tante angustie cagionatrice. Per la sudetta morte del caro amico scrissi ancora alcuni teneri versi onde appagare in qualche parte me stesso; i quali anch’essi con gli altri un’altra volta vi manderò.
          Quando vi scrissi, nel mese di maggio, vi diedi la lieta nuova di aver contratta amicizia col cavalier Vallisneri. Ora ve ne do un’altra della medesima tempera, e cioè di avere avuta la sorte di divenire corrispondente dell’illustre, e celebre tanto signor Lyonet#13, dimorante all’Aja, e che senz’ombra minima d’esagerazzione, è il più gran naturalista che viva per rapporto agl’insetti, avendo data un’anatomia così fina, così profonda, e sorprendente di un raro bruco del salvio; che ha spaventato, e fatto sorprendere tutta l’Europa#14. Quello che fervidamente mi raccomanda, è d’imparare il disegno per delineare gl’insetti; non bastando la descrizione, perché il lettore si immagini quel tale insetto che vien descritto: anzi quanto più minutamente è descritto l’insetto privo della figura, più si confonde la fantasia; l’animale non è punto riconoscibile, e diventa immaginario. Egli in questa parte è riuscito eccellentissimo, e quello che è ancor mirabile incide con eleganza finissima: onde insieme è anatomico, disegnatore, ed incisore de’ suoi insetti. Nel principio del mese venturo, collocatomi totalmente in città, voglio incominciare, per almen poco del giorno ad esercitarmi in tale facoltà, quando mio padre pagar non mi voglia un maestro.
          Ma è ormai tempo di terminar questa lettera: la quale vi avrà già mille volte annoiato per la sua sovverchia prolissità, quando pure l’abbiate sino al fine trascorsa. Il desiderio di conversare a lungo con voi mi suggerisce questi spropositi; né so resistere a così diaboliche tentazioni. Abbiate, o caro amico, la paziente moderazione di perdonare all’amicizia, e alla gioventù ciò che non è a perdonarsi per sé medesimo. Amatemi, che io già v’amo all’eccesso, anzi per così dire vi adoro; e credetemi sino al di là delle fredde ceneri ecc.

Di villa il dì 14. novembre 1771

 

La minuta di questa lunga lettera, molto tormentata, è una di quelle non conservate nell’Autografoteca Campori ma nei Manoscritti Campori, fascicolo γ. X. 3. 1. La disposizione di Rovatti sembra qui particolarmente malinconica, e il modenese ritorna a descrivere numerosi progetti per future pubblicazioni che non vedranno mai la luce, puntualmente biasimate da M. nella successiva risposta.

Le nozze tra Ferdinando d’Asburgo-Lorena e Maria Beatrice Ricciarda d’Este, celebrate a Milano il 15 ottobre 1771, per le quali M. compose il Ruggiero ovvero l’eroica gratitudine, musicato da Hasse. 

Riguardo a questi insetti scrive Spallanzani: «Tra le altre cose, che m’indicata nell’erudita vostra lettera, quegl’insetti nuovi, che avete trovati mi sono dati molto nel genio» (a Giuseppe Rovatti, 16 ottobre 1771; cfr. Spallanzani, Carteggio, p. 168).

Sulle vicende dello stampatore Montanari cfr. A Lazzaro Spallanzani, 5 giugno 1771: «Non ostante, che lo stampatore Montanari avesse preso l’assunto di imprimere a suo conto la mia lettera a voi diretta sopra il veleno delle salamandre, e che fosse quattro mesi, o più che era già questa in sue mani, avendogliela io consegnata a’ primi di febraio, pur ne’ stampatori nuovi sottentrati al dottor Montanari sudetto ho trovato cosa, per la quale bastevolmente vede o non volerla imprimere, o avere in animo, quando ciò ancora facessero, di aspettar mesi, e mesi per essere carichi presentemente di manoscritti: onde ho pensato a ritirarla» (Spallanzani, Carteggio, p. 162).

Il progetto originario era di dedicare allo studio della riproduzione il 1771: cfr. a Lazzaro Spallanzani, 22 novembre 1770 (Spallanzani, Carteggio, p. 158).

«Ho fatto ne’ giorni scorsi un buon numero di osservazioni sulle spugne di cynnorodos, le quali mi hanno fatto vedere che il Reamur abbozza solamente la loro storia. Io ne farò un intiero libretto, che non potrò publicare se non dopo due o tre anni» (a Lazzaro Spallanzani, 10 febbraio 1771; Spallanzani, Carteggio, p. 159).

Le opere di Aldrovandi, morto nel 1605 senza eredi, vennero curate dai discepoli Cornelio Uterverio e Bartolomeo Ambrosino, non senza numerose interpolazioni.

È la Lettera seconda, cfr. Pietro Metastasio. Carteggio con Giuseppe Rovatti. Parte seconda (1770-1781), a cura di Giordano Rodda, Genova, GUP, 2022, pp. 237-340. 

Il Saggio sopra gl’insetti.

Inizia a vacillare il progetto della nuova edizione delle opere di Vallisneri, che non verrà portato a termine.

A fine ottobre 1771 Rovatti visita Spallanzani a Scandiano, come si evince dalle lettere a lui indirizzate il 16 e il 21 ottobre 1771, appena prima del suo arrivo; cfr. Spallanzani, Carteggio, pp. 168-169.

Probabilmente la miniera di zolfo nei pressi di Iano, fatta costruire da Luigi d’Este nel 1695.

La corrispondenza con Lyonnet inizia nel luglio del 1771, equivocato con Bonnet da Spallanzani nella lettera del 28 luglio di quell’anno: «[...] godo eziandio moltissimo, che abbiate introdotta corrispondenza letteraria col Bonnet [...]» (poi il 21 agosto: «L’amicizia che fino ad ora non avete contratta col Bonnet (giacché è, come dite il Lyonet) la contrarrete stampando le vostre salamandre, e qualche altra produzione»; cfr. Spallanzani, Carteggio, pp. 164-165. Pierre Lyonnet fu incisore di grande talento; l’opera a cui allude Rovatti è il Traité anatomique de la chenille qui ronge le bois de Saule del 1950. Lyonnet spronò Rovatti al disegno (nel Saggio sopra gl’insetti si trovano anche una decina di tavole con disegni eseguiti dal modenese): «[...] mi è pur grato il sentire il qualche vostro progresso nel disegno. Oh quanto mai invidio la tenera vostra età! Oh quanto mai mi lagno di non aver data opera nell’età vostra io pure nel disegno! Non solo lo veggo utile ad un naturalista, ma necessario, necessariissimo» (Spallanzani a Giuseppe Rovatti, 13 dicembre 1771; Spallanzani, Carteggio, p. 170).

Il riferimento sullo «spaventare» riguarda probabilmente il fatto che il libro di Lyonnet venne accolto da un certo scetticismo, tanto che alcuni detrattori credettero che la grande precisione con cui il naturalista aveva disegnato i suoi insetti fosse frutto di mera fantasia e non reale osservazione.