Al Signor Abate Pietro Metastasio a Vienna
Una lunghissima lettera di molti fogli vi scrissi due mesi sono#1, e per mezzo di persona che più volte mi ha fatto giugnervi delle mie lettere fuori di posta, fu consegnata al signor maresciallo Molza#2, sulla speranza vi pervenisse in poco d’oro. Ho sentito con mia sorpresa che non è ancora partito il detto signore, né partirà se non almen dopo Pasqua, e quel ch’è peggio fermasi a mezza strada, non arrivando sino a Vienna: onde chi sa mai quando essa lettera potrà venire alle vostre mani. Ora scrivo, impaziente di avere di vostre nuove, giacché è tempo non tanto piccolo che non ho di voi ricevuta novella alcuna, benché mi giovi sperare che siano liete e felici, e come appunto desidero.
Io, se vi piace di sapere di me, godo una vita serena, e una salute ottima, fresca, vivacissima, e in tutto uguale all’età mia. Ho passati in villa cinque de’ giorni scorsi, non per motivo di fare osservazioni, ma per agitare più del consueto la macchina, e per smaltire gli umori, da’ quali mi sentiva gonfio, e imbarazzato, come è in me costume di tutti gli anni verso il finire del verno. Per non celebrar la flebotomia#3 (per parlare co’ medici) che mai non stimo giovevole se non in grande, ed urgente necessità, ho cercato (e così fo sempre in somiglianti occasioni) d’impoverire la massa del sangue in altra guisa, cioè contentandomi di semplice, e poco cibo, di poco sonno, bevendo molt’acqua schietta che lo tempera e lo dilava, e facendo un lungo esercizio. Colà particolarmente ho condotto una vita tartara, vale a dire a cavallo. Stancatone uno, tornava a casa a prenderne un altro, e me ne sono toccati de’ capricciosi, e insolenti: tra gli altri, uno di Frisia, docile di volontà, ma di andatura sì scomoda che avrebbe dato urto al sangue di Polifemo. Vi montava sull’alba; ed era un piacere il mio, tra le pruine che ancora imbiancano le nostre rive, e contro un gelido vento che soffiava bene spesso dalla parte di settentrione a costeggiare il più bello dei nostri fiumi, alle sponde del quale dieci miglia al di sotto della città siede la villareccia mia casa.
Giacché sono in darvi mie nuove, non vuo’ tacervene un’altra che merita maggiormente di esservi riferita. È questa il progetto di una cattedra di naturale istoria, e il mio rifiuto della medesima. Il professore naturalista manca ancora all’università nuovamente qui eretta#4, o ampliata, e per essere questo studio forastiero affatto nel nostro emporio scelsero me, senza che io nulla sapessi di un tale macchinamento. Da quello che disse il signor marchese Fontanelli, che me ne parlò, conobbi la viva brama del principe di avere un professore di questa scienza, e conobbi altresì che rifiutandola io, la cattedra seguitarebbe a restar vuota: onde, volendo, pure esentarmene con bel garbo, convenne cercar le ragioni del rifiuto non nella mancanza di volontà, ma nella mia insufficienza. Addussi che, quantunque avessi qualche piccola prattica degl’insetti, del restante della Natura era digiuno, o quasi digiuno affatto; che per sapere basta sapere, ma per insegnare agli altri è d’uopo di strasapere; che mi manca franchezza di esprimermi, e di sminuzzare le cose, di dar nuovi giri al discorso, e di comunicare ad altri le proprie idee, non solamente di cose insolite, e più difficili, ma ancor di quelle che sono le più frequenti, e che mi bullicano più del capo; e così discorrendo. In realtà le ragioni che addussi, sono tutte vere; ed io più di tutti conosco la mia inabilità, avendo organi poco pronti, fredda immaginazione, e per ciò che spetta ad avere il materiale, vi vuol ben altro per insegnare che avere contato le zampe a qualche bruco. Le ragioni che tacqui sono egualmente giuste; ma come avete udito, mi convenne passarle sotto silenzio. Io sono sì amante della mia libertà, sì nemico d’ogni spezie di legamento, e aggiungo ancor di pedanteria, che al solo pensare a uno stato diverso da quel che io godo, mi sento per così dire assalito da un orrido raccapriccio, e provo una tale avversione, che vorrei quasi non aver corso le scienze, quando dovessi giugnere a un punto di dover sacrificare la libertà mia a motivo delle medesime. Per evitare qualunque inconveniente che avrebbe potuto nascere, e per fare prova autentica e positiva del mio buon animo verso il mio principe, mi offersi ad osservare le produzioni del nostro paese per riguardo agl’insetti. Ciò non mi lega ad obbligo alcuno, se non ad osservare, e scrivere; il che fo già di mio genio; e non dovendo trattare con altri che con la Natura, né osservare piuttosto una cosa che un’altra in suo genere, né pubblicare le già osservate piuttosto in uno, che in altro
tempo. Aggiugnete che già mi trovo ad avere un grande ammasso di osservazioni, le quali siccome fatte su insetti trovati intorno a Modena, e ne’ luoghi circonvicini alla mia villa, sono porzione appunto di quelli del nostro Stato. Aggiugnete ancora che dopo averne unito un buon numero, posso dire di non trovare più altro degno di osservazione, e di nota: e così esser fuori del preso impegno. Di tale progetto non ho ancora avuta risposta: onde potrebbe credersi, essere cosa non di suo gusto. Per altro io sono indifferente: anzi mi duole che altri mi abbia avuto presente alla memoria, ed abbia a me dato luogo ne’ suoi pensieri.
Ho finalmente contratta corrispondenza col tanto celebre signor barone di Haller#5. Due anni, e mezzo è tardato il mio piego a giugnere nelle sue mani, senza che io ne sappia il motivo, e senza pure che il sappia egli stesso: qua causa (della tardanza) così si esprime, ego quidem ignoro. Ho pure anco avuto un bel dono mandatomi dal signor Cavalier Vallisneri professore in Padova; che vi comunico con viva allegrezza. Veramente dovrei tacerlo, avendomi egli intimato silenzio, come mi scrisse appunto, col popolo. Ma siccome per popolo si debbono bensì intendere ben spesso con Seneca i togati, ma non mai confondervi un Metastasio, così posso in buona coscienza interpretare la mente del donatore; e dirvi che il dono fattomi dal medesimo sono nove volumi manoscritti parte in foglio, parte in quarto, dell’illustre suo padre gran medico, e grande istorico naturale#6. Gli ebbi la settimana scorsa, tornato di villa, cioè il giorno 10 di questo mese#7, e a quest’ora quasi interamente gli ho scorsi. Buona parte della materia delle publicate sue opere è cavata da questi libri: ma un gran numero d’osservazioni vi si trovano, ancora inedite, e che meritano di andare al publico. Spero che non avranno ad essere pascolo delle tignuole, pensando di metterle insieme, e di formarne un trattato da aggiugnere alle sue opere, ad occasione della ristampa delle medesime con le mie giunte, e commentari. È ben poi vero che sarà non piccola la fatica, essendo scritto in più luoghi, direi quasi, con penna gotica; essendo le materie confuse e senz’ordine, ma unite le cose l’una dietro l’altra di mano in mano che le osservava, e sovvente tronche, riferendosi ad altri volumi, senza citarne bene spesso le pagini: onde mi converrà di scartabellargli tutti più volte. Non mi spaventa però la fatica; anzi non veggo l’ora di avere momenti quieti per impegnarvimi.
È incredibile il numero delle cose vedute da quel grand’uomo, e quello ch’è più, vedute in pochi anni. Vi si leggono osservazioni d’ogni maniera, cioè storie mediche, fisiche, ed anatomiche, e quant’altro poteva saltare in capo di fare, ed accadere a un curioso osservatore; ma la più parte risguardano gl’insetti, il numero de’ quali ne’ presenti libri sorprende. Per dire qualche cosa così di passaggio, parla il nostro autore, di moscherini, di bruchi, di farfalle, con suoi bozzoli di varie sorte, e crisalidi, di minatori, di cantaridi, di vermi di varie spezie, di pidocchi silvestri, di cimici, d’insetti curiosi inominati, cioè che allora non avevano ancor nome e forse anco adesso non l’hanno, di feometri, di tubercoletti o bernoccoli, di pilole, di galle, di convolvoli, di scolopendre, di silofori, di tignuole, di ragni, di vermi terrestri, di gemme di quercia legnose, di speroni o cornetti, d’api, vespe, calabroni, cicale, zanzare, tafani, zecche, fuchi, cevettoni, e simili; di scarafaggi, di lucciole, di gorgolioni, e di quant’altri animaletti volatili hanno l’ali membranacee coperte da altre due cartilaginose, e quasi ossee. Favella pur anco di galle coronate, di strame, gufiati, ricci, spugne, calici, coccole, e simili animati tumori di piante, di lombrichi, mignatte, chiocciole, lumaconi, grilli, locuste, zuccaiuole, ragni, centogambe, millepiedi, pulci, scorpioni, lucertole,
ramarri, rane, rospi, salamandre, serpentelli, ecc. ecc. ecc.
Di molte altre cose vi vorrei dire intorno a questi volumi e giornali: ma tutto non posso restringere in un sol foglio: e d’altra parte, come un giorno scriveste in proposito di certa gente indiscreta che troppo vi aggrava; de’ ducati, e de’ fiorini non si fa raccolta in Parnaso#8. In altra occasione più a lungo, se vi piace, vi parlerò. Addio. Gradite intanto queste notizie; conservatevi; amatemi, e credetemi ecc.
Modena 16. marzo 1773.