10. 9bre 1779.#1

Al Signor Metastasio

Mi approfitto dell’occasione che mi si offre di un giovine cavaliero mio amico, che viene inviato dal nostro principe a codesta corte; e vi scrivo dandovi conto primieramente del mio rossore di non averlo fatto da lungo tempo, o piuttosto della continuazione di quel riguardo che or sono tenuto di avere di non farvi scrivere frequenti lettere: unico, ed a me rincrescevole motivo della rarità delle mie; indi della felice costituzione di mia salute, ch’è lieta, e vigorosa più di quanto abbia goduto finora; e in fine delle notizie raccolte in questo anno nel libro della Natura mediante le mie consuete, né d’interrotte osservazioni sopra gl’insetti.
          Permettetemi, o caro amico, che io m’aggiri su queste parlando a voi, non avendo altro oggetto scientifico presentemente che questo: tralasciato da più anni qualunque altro, e segnatamente quelli che vi anderebbero forse più a sangue. Un buon numero di tali viventi ho raccolto, da che vi scrissi, investigandoli ne’ più reconditi lor nascondigli, ed attentamente gli ho esaminati, a tenore della mia capacità, e conforme il piano che mi sono formato, particolarmente bruchi di più maniere, cimici selvagge, scarafaggi d’ogni grandezza, grilli campestri; poduri#2, acari, ed altri simili, tra quali degli animali, e che non so, sotto qual classe collocarli, e che appunto mi sono più cari, perché più sconosciuti, ed ignoti. Non ho trascurato i gorgogli-leoni, de’ quali parlo a lungo nel primo mio, non ancora stampato dialogo#3, e de’ quali tratterò in seguito ancora negli altri che in più cose saranno supplementi del primo, dividendo così le materie, onde non riescano noiosi, ed ingrati. Ho pur trovato più nidi di terra, fabbricati da piccole ed alquante api, vespette salvatiche, diverse spezie di legniperdi terrestri; le storie, e descrizione de’ quali serviranno anch’esse pei dialoghi; mi è accaduto anco di vedere i lunghi amori delle pulci, che tanto infestano l’uomo: ed altri somiglianti cosette sono state l’oggetto delle mie osservazioni, che avrebbero bisogno più che di una lettera, se tutte avessi a ricordarle, non che a descriverle.
          In questo anno ho continuato con gran fervore ad osservare i lumaconi-mignatte, ed ho scoperto ora più a fondo la loro natura, e costituzione di quanto abbia fatto addietro. Non aveva io ancora veduto mai che una volta sola nella metà di un verme tagliato pel lungo, e mi mancavano le notizie di più circostanze, il desiderio d’aver le quali mi tormentava; ma ora la Natura ha così corrisposto a’ miei voti che poco più mi resta a desiderare. Ho avuto ancor prove dimostrative che incontrastabilmente mi hanno deciso di qual natura sia il loro sesso, se doppio, o semplice, di che non era informato, allor che feci il prodromo; ho altresì trovati i lor pascoli; ho scoperto la maniera curiosa, con cui si cibano (di che per altro ne aveva alcun indizio per osservazioni di due o tre anni sono). Così ancora ho osservato l’accrescimento del loro piccolo corpicciuolo, il cambiamento del colore dei piccoli nel venir grandi, passando per varie tinte dall’esser bianchicci al farsi neri; e di mille somiglianti, e dissomiglianti fenomeni sono stato testimonio di vista con grandissima mia soddisfazione, e piacere.
[...]


La lettera è mutila.

Insetti simili ai pidocchi.

Del progetto di un dialogo tra i due grandi naturalisti parla Spallanzani in una lettera dell’11 novembre 1772, rinnovando, come M., l’invito a portare a termine un’opera e a non intraprenderne di nuove: «Non perdete di vista il dialogo incominciato tra Malpighi, e Vallisneri, e vi rinnovo, che è scritto con grazia, verità, ed eleganza. Questo vostro libro sarà letto con piacere da tutti, e sicuramente vi farà onore. Ma caro voi siate tutto tutto in questa operina, e non la lasciate finché non è finita» (Spallanzani, Carteggio, p. 185). E ancora, il 12 gennaio 1773: «Ma i vostri dialoghi come vanno? Non vorrei che i manuscritti vallisnerani ve li facessero dimenticare» (ivi, p. 188).