Udine [post 26 aprile 1766]

Illustrissimo Signor Abbate Signor Padrone Colendissimo

Fino d’allora che mi restitui<i> felicemente alla patria, credei mio dovere di significare a vostra signoria illustrissima i sentimenti della ingenua mia riconoscenza per le tante e sì obbliganti finezze da lei ricevute in tempo del mio soggiorno in codesta imperial città; e ben rilevai dalla sua graziosa risposta con quanto gradimento essi fossero da lei accolti, perché espressi da un fedel interprete dell’animo mio, anzi da un altro me stesso#1. Ora mi do il contento di rinnovarle gli stessi miei sinceri e doverosi uffizi, e colgo l’opportuno incontro di soddisfare alla nostra più che poetica amicizia col presentarle un esemplare del mio epitalamico poema impresso recentemente in Venezia#2. Spero ch’ella, signor abbate gentilissimo, come onorò della sua autorevole approvazione i due primi canti, il di cui manuscritto le comunicai, così mi farà la grazia di leggere gli altri tre, i quali riputarò egualmente felici, quando essi abbiano la sorte di ottennere il di lei favorevole giudizio. A lei è ben noto quanto sia difficile l’imitare lo stile e l’addottare lo spirito degli antichi poeti, qualora la verità e non l’adulazione gli risvegli dalla loro deliziosa quiete, e li richiami a cantare le lodi de’ loro prencipi eroi, per adombrare in quelle le alleanze e le virtù de’ monarchi viventi; e quindi ella facilmente argomenterà quanto mi costi il nuovo lavoro. Ma la fatica non è sempre la colta misura del pregio d’un’opera, e particolarmente d’un’opera poetica, che deve essere disegnata bensì da un giudizioso discernimento, ma che poi languisce, quando non riceva colore, moto ed anima per mano delle Grazie. Ella, signor abbate gentilissimo, a cui sono familiari queste amabili divinità, conosce la loro indole delicatissima. Come figlie del Genio s’involano ad una ricerca troppo sollecita, e come vergini e libere sdegnano ogni ancor menoma violenza. Conviene o attendere i loro spontanei favori, o conciliarceli#3 con una non so quale natural desterità. Non so se in questo incontro elleno mi sieno state benigne o contrarie. Ne lascio addunque la decisione a quegli che in questo secolo è l’amico più favorito e il più fedele ministro delle Grazie medesime. Per ottenner presso di loro un facile accesso e un delizioso commerzio mi vedo interessato a coltivare la profittevole amicizia del signor abbate Metastasio; ma molto più la desidero per conservarmi aperto l’adito nel suo bel cuore, le di cui amabili qualità mi sono tanto più care in lui, quanto più di rado si trovano in altri unite a quelle dello spirito. Ella fratanto conservi in se stesso un insigne ornamento, anzi l’onore del teatro italiano, e il modello d’una perfetta amicizia, a’ di cui doveri io procurerò sempre di corrispondere con quella tutta sincera e pienissima ostinazione, che mi fa essere immutabilmente 


Probabilmente il riferimento era ad un recente soggiorno a Vienna di Daniele; il «fedel interprete dell’animo mio», l’«altro me stesso» era riferito al fratello Francesco, che dei sentimenti di Daniele si era fatto interprete con una sua lettera (vd. lett. di M. a Florio del 28 novembre 1767).

Le Grazie, poemetto per le felicissime nozze di sue eccellenze il N.H. conte Giovanni Manini e la N.D. Samaritana Delfino, Venezia, Fenzo, 1766. In precedenza, Florio aveva mandato i soli primi due canti manoscritti, di cui M. aveva accusato ricevuta nella precedente, del 26 aprile 1766.

conciliarceli: conciliarcele (maschile usato con valore di indeclinato).