Udine, 9 aprile 1775#1


Illustrissimo Signore Signore Padrone Colendissimo

La direzione de’ veri poeti che raddolciscono le loro studiose fatiche con un geniale diletto, oppure le consacrano ad un onore non vano, deve imitare quella de’ saggi pittori, i quali diffidando di se stessi, prima ch’esporre agli occhi del pubblico qualche importante lavoro, lo assoggettano all’esame de’ maestri più eccellenti di quell’arte, e prendono regola del loro giudizio: onde poi o presentano alla pubblica luce l’opera corretta, o riconoscendola troppo diffettosa la condannano alle tenebre, e se non puonno sperarne lode, almeno si risparmiano il rossore, giusta pena di una inconsiderata vanità. Dalla benigna, e come punto non dubito, egualmente sincera approvazione, con cui vostra signoria illustrissima avvalora il sonetto da me trasmessole, sopra il Real Infante di sua Maestà il re delle due Sicilie, potrebbe la mia Musa arrogarsi un onesto coraggio per dar con sicurezza alle stam<p>e la canzone da me lavorata su tale idea. Ma, come ella ben sa che nell’esecuzione di un gran quadro e nella varia combinazion de’ colori spesso si rilevano que’ diffetti che sfuggono l’attenzione nelle minutezze e nell’adombramento del disegno; così reputo mio dovere e mio vantaggio il comunicare a vostra signoria illustrissima la canzone istessa, prima che venga impressa in Napoli, il che facilmente avverrà verso gli ultimi giorni di maggio, destinati a celebrar le splendidissime feste per il parto di quella amabile sovrana. Ond’io approffittandomi del favore del tempo conveniente a riceverne la di lei sollecita risposta, la prego a significarmi sopra questa mia nuova produzione il candido suo ed autorevole sentimento, il quale anche nel presente, come in altri passati incontri, avrà in me la forza di sacro e non equivoco oracolo. Il felice avvenimento, che ha riempito il cuore della impareggiabile imperatrice regina, sua e mia liberalissima benefatrice, di sì viva consolazione, proporzionata alla materna di lei tenerezza; la fecondità della real figlia, ch’anche in questo, che è pur dono celeste, come nell’esimie virtù imita l’augustissima sua genitrice; la nascita di un prencipe, che assicura la successione, e in conseguenza la felicità di quel florido regno e di quella ricca e popolosa città, che il celebre signor abbate Metastasio riguarda ed ama quasi come sua patria, se l’educazione deve riputarsi una seconda nascita: questi sono tutti punti di vista che le offriranno i miei versi sotto luminosi aspetti, e molto più la cordiale amicizia, ond’ella da tanti anni e sì strettamente è unita all’autore, che, per servirmi dell’obbligante espressione usatami nella recente sua lettera#2, più non puonno esserle omai straniere le mie vicende. Ma la supplico per qualche momento a sospendere i moti dell’amor suo, per lasciar più libero l’adito ai lumi del suo discernimento. Usi il dritto di rigido censore, e si scordi d’esser amico indulgente, anzi per dir meglio adempia le leggi della vera amicizia, di cui fra le primarie ed utilissime leggi si è quella di correggere i difetti di cuore o di spirito, in coloro con cui siamo come imedesimati. Ella dunque esamini la mia operetta con animo dissapassionato, come appunto con maturo riflesso, e senza ascoltar le voci lusinghiere dell’amor proprio esercita una tacita censura sopra i mirabili suoi drammi, prima ch’essi compariscano sulle scene: onde a ragione a<l> loro autore hanno assicurata l’immortalità. Se nel mio lirico componimento fra qualche lampo e scintilla di fantasia, che ancor mi consente il vero liberalissimo Apollo, ella vi scoprirà delle macchie (e temo ch’abbia a scoprirne non poche e non lievi) mi faccia la grazia di notarle, ch’io mi ingegnerò d’emendarle nella miglior maniera che mi sarà possibile, e con la dovuta docilità. Che se poi ritroverà questa mia fatica degna della sua approvazione anche in quel regolar disordine a cui trasportano i voli pindarici, i’ mi terrò molto fortunato; e in tal caso, di cui mi lusingo, ma senza presunzione, io ardirei pregarla a dichiararmi il suo parere nella risposta a questa mia umilissima, e ad accordarmi l’onore di poter imprimerla unita alla canzone, ch’uscirebbe con fronte più sicura, suggellata dall’autorità di quello ch’è il decoro e il sostegno del troppo ormai decadente teatro italiano: ed io avessi la sorte di far palese non solamente alla Reppubblica letteraria quell’amichevole antica corrispondenza che mi unisce al valoroso e cordiale signor abbate Metastasio, ma di comparire ancora in faccia de’ prencepi, quale mi glorio d’essere invariabilmente con fiducia, con riconoscenza, e con uguale amore e rispetto

Udine 9 aprile 1775

Di Vostra Signoria Illustrissima
Devotissimo ed Obbligatissimo Servitore Vero ed Amico
Daniele Florio

Segue sicuramente la lett. di M. del 29 marzo 1775, come dimostra anche la ripresa pressoché letterale dell’espressione «più non possono ormai essere a me straniere le sue vicende»; precede altrettanto sicuramente l’invio dell’ode pindarica, di cui M. accusa ricevuta nella sua del 29 aprile 1775. Quanto al riferimento che Florio fa all’approvazione di M. relativa al sonetto sopra il Real Infante, trasmessogli, insieme ad altri, in data 9 marzo: è probabile che l’approvazione sia quella ‘cumulativa’ della lett. in data 29 marzo 1775.

Lett. di M. a Florio del 29 marzo 1775.

 

 

fra le primarie ] una delle primarie integrazione posta in interlinea
leggi aggiunta, integrazione posta in interlinea
si è quella ] si è \quella/