Udine, 21 aprile 1775#1


Illustrissimo Signore Signore Padrone Colendissimo

È ben tempo ormai che le Muse mie favorite sentano la voce dell’amicizia, di quella vera amicizia e costante, di cui elleno stesse sono state la felice origine, e sono tuttavia le fedeli conservatrici per la sacra inviolabil legge, onde all’uno e all’altro ugualmente più non possono ormai essere straniere le nostre vicende. Bramerei bensì che il valore de’ miei versi ne compensasse la scarsezza del numero, ed uguagliasse in qualche maniera la viva premura dell’autore ed il merito distinto del soggetto. Mi lusingo, però, ch’ella signor abbate gentilissimo abbia a gradire i frutti d’una pianta che si compiace di serbar ancora qualche avanzo di giovanil vigore per non mostrarsi del tutto ingrata al benefico suo coltivatore. L’energia dello spirito particolarmente, quando non si perde, anzi divien più feconda a dispetto dell’aridezza e del gelo degli anni, venga pure atribuita alla elasticità degli organi da’ pretesi pensatori moderni, i quali ardiscono di avvilire la nostra più nobil parte confondendola con l’inerte materia; ché a noi giova, carissimo e saggio amico, ritrarre dal nostro rinascente genio poetico se non un<a> prova convincente, di cui non abbisogna un dogma da tante altre ben stabilito, almeno un plausibile e consolante argomento della nostra immortalità. Ma per usare seco lei il linguaggio della filosofia del cuore assai più deliziosa di quella dell’intendimento, io certamente mi compiaccio di comprovarle con questo sonetto#2 (che vorrei poter cangiar in un poema) quella giusta stima e sincera amicizia, la quale nata in me dalla uniformità di studi, nutrita da una genial consuetudine non mai per tanti anni interrotta, non avrà altri confini che quelli della vita, anzi, come invano non spero, volerà colla celebrità del di lei nome fino a’ secoli futuri.

21 aprile 1775

Di Vostra Signoria Illustrissima
Devotissimo e Obbligatissimo Servitore ed Amico
Daniele Florio

Si conserva in Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II 192.1, in due copie, una autografa, in data 21 aprile 1775, cc. 94r-v, e una calligrafica di altra mano, in data 22 aprile 1775, cc. 95v-96r. Si mette a testo la minuta autografa, in apparato si indicano le varianti della copia calligrafica. Si noterà, in quest’ultima redazione, il cenno ai quattro sonetti trasmessi. Il che, unitamente alla nuova ripresa dell’espressione di M., «non possono ormai essere straniere le nostre vicende», mette questa di Florio in rapporto diretto anch’essa, come già la lett. del 9 aprile 1775, con la missiva di M. del 29 marzo 1775.

Come specificato nella nota di recapito, si trattava del sonetto Se prendo in man l’armoniosa lira.

 

quella vera amicizia e costante ] quell’Amicizia costante, e sincera
elleno stesse sono state ] furono
fedeli conservatrici] conservatrici fedeli
onde all’uno e all’altro ugualmente più non possono ormai ] che da tanto tempo ci ha sì strettamente congiunti, che più non possono né all’uno, né all’altro
valore ] valor
però, ch’ella signor abbate gentilissimo ] nonostante, che la Gentilezza di V(ostra) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
di una pianta che si compiace di serbar ] di una pianta, che gode di mostra
avanzo ] avvanzo
mostrarsi ] essere
L’energia dello spirito … comprovarle ] Le onorevoli di Lei testimonianze hanno sempre incoraggito il mio Spirito, e  particolarmente le recenti, onde ancora i quattro sonetti trasmessile, donano una feconda influenza al mio Genio poetico a dispetto dell’aridità degli anni, ne quali la Fantasia per legge ordinaria è soggetta ad un noioso languore, e in conseguenza l’Arti imitatrici, che da quella facoltà dipendono, perdon assai della loro originale vivacità. Se io dunque vo’ esente da tal pregiudizio, riconosco dal mio stimatissimo Signor Abbate Metastasio in gran parte un privilegio tanto precioso, e a si pochi accordato dal vero Giove; e poiché non posso aspirare al-la perfezione, e alla gloria dell’opere del mio insigne Maestro, mi contento almeno di poter imitarlo nel costan-te fervore nel coltivar un’Arte, che in Lui può chiamarsi figlia d’una immaginazione ben regolata, anzi un’armoniosa Filosofia degli affetti. Oltre quel secreto piacere, che ognuno prova nel conservar se stesso in una felice costituzione, e nel esercitar senza pena le sue facoltà in quelle cose, alle quali e stato instituito dalla natura e dall’uso, io sento una particolar compiacenza di comprovar a Vostra Signoria Illustrissima
giusta ] infinita
la quale ] che
dalla uniformtà di ] dall’uniformità degli
invano non spero ] mi giova sperare
colla celebrità del di lei ] con la celebrità del suo
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