[Udine, 1 novembre#1 1776]

Come la precedente lettera#2 di vostra signoria illustrissima mi avea riempito l’animo di una preventiva consolazione recandomi i fausti presagi, così l’ultima segnata ai 16 dello spirante mese#3 con l’incluso biglietto mi ha indicibilmente amareggiato e sorpreso per l’inaspettata catastrofe; la qual mi riesce ancora più sensibile per la viva parte ch’Ella prende del mio rammarico. Le confesso, amico carissimo, che la risposta data da sua Maestà l’imperatrice regina al suo gran ciambellano sua eccellenza il signor conte di Rosemberg#4 è stata un colpo assai doloroso per me, e mi è sembrato quasi un fulmine improviso che piombi a distruggere le mie più dolci speranze, e ben fondate sulle giuste istanze, appoggiate sull’autorità del mio capo autorevole e premuroso intercessore, ed avvalorate dai vantaggiosi elogi di un autore così celebre, che in questo incontro mi ha data prova della sua vera amicizia impiegando a mio vantaggio tutto il favore e credito che si ha meritato da gran tempo in codesta imperial Corte, e di cui di recente ha ricevuto un così glorioso contrasegno#5. Nel subito mio turbamento non arrivai a comprendere come la clementissima sovrana nata per rendere tutti contenti, non abbia voluto ad un suo umilissimo ciambellano#6, e non vile coltivator del Parnaso accordare la grazia sospirata e la consolazione di consecrarle le in<de>gne sue e costanti fatiche di trenta e più anni#7. Taluno, che fusse munito di minor spirito e di minor fedeltà, si sarebbe certamente smarrito di coraggio in così sinistra contingenza, ed avrebbe dato un risoluto eterno addio al lusinghiero Parnaso. Ma ella, signor abbate stimatissimo, come quello che >è< non meno profondo filosofo ch’elegante poeta, m’insegna che ne’ momenti più critici conviene armarsi di maggior fermezza d’animo e chiamare a nostro soccorso, non già la stoica, sterile ed orgogliosa filosofia, ma quella più solida e più salutare, quella di cui è maestra l’umana prudenza assistita dalla nostra santa religione. Con tale aiuto, benché non possa far a meno di sentir vivamente la mia disgrazia, nondimeno la supprimo nel secreto del mio core, e senza significarla né pure al mio saggio fratello e ai figli carissimi per non comunicar loro la mia afflizione, la quale non dissimulo a Lei, mio carissimo amico, come già conscio dell’affare e capace di alleggerirmene il peso col suo tenero compatimento. Così rientrato in me stesso vengo a meglio conoscere lo scarso mio merito, ed adoro fratanto nei voleri della saggia e pia sovrana quelli della Providenza, che ci nasconde spesse volte le cagioni e le sementi de’ nostri veri beni e de’ mali sotto diverse apparenze. Ella fa che talvolta siamo umili ne’ tra>va<gli, perché prevede che il nostro amor proprio ne potrebbe render vani nelle felicità. Ma se ci vuole alquanto mortificati, non ci vuole però abbattuti e del tutto oppressi, ed alternando gli aversi e i prosperi avvenimenti ci instruisce a sostennere e gli uni e gli altri con uguaglianza d’animo, e così fa che non s’interrompa il corso degl’affari più importanti e de’ vicendevoli uffici della società e degli stessi nostri onesti studi, ch’a una certa età divengono i soli nostri innocenti diletti. Con tale principio ho procurato di porre in calma il mio spirito, e continuerò a porger voti al Cielo per la salute della clementissima Maria Teresa, la quale finché resta in vita, non può estinguersi in me la speranza che venga alfine quel favorevole momento, in cui l’invincibile sua modestia riconosca che l’unico e principale oggetto de’ miei versi si è quella virtù che non invecchia, anzi più s’accresce cogl’anni, e che riguardi i miei versi stessi non tanto come lampi di poetica fantasia, quanto come frutti di una ragione illuminata e di un core penetrato dal dovere di ossequiosa venerazione e d’indelebile riconoscenza. Tali sono i sentimenti che io conserverò sempre verso la mia augustissima benefatrice, e con la dovuta proporzione tali ancora sono quelli che professo a sua eccellenza il gran ciambellano conte di Rosemberg, al quale la supplico a render grazie a nome mio per la benigna assistenza prestatami, ben che con esito poco felice e poco corrispondente alle <di> lui ottime disposizioni. Spero che il mio signor abbate Metastasio si consolerà nel vedere il suo carissimo Florio quale lo desidera, non avvilito nelle averse venture, come forse non sarebbe insuperbito nelle prospere, ma egualmente disposto a tutte le vicende, e che proverà una sincera compiacenza nel rilevare in me que’ sentimenti che mi renderanno alquanto più degno della continuazione della antica sua pregiatissima amicizia, alla quale mi prendo il coraggio di consecrare l’annessa canzone sorella del tanto da lui gradito ed onorato sonetto#8, come un recente contrasegno di quella immutabile stima, gratitudine e tenerezza, con cui mi pregio, e finché io viva mi pregiì>er<ò sempre di essere 

Di Vostra Signoria Illustrissima
Umilissimo Devotissimo ed Obbligatissimo Servitore ed Amico
Daniele Florio 

 

La data è indicata nella lett. di M. del 16 novembre 1776.

Lett. di M., del 9 ottobre 1776.

Lett. di M., del 16 ottobre 1776.

Franz-Xavier-Wolfgang von Orsini-Rosenberg (1723-1796), il Gran Ciambellano, si era fatto tramite della richiesta di Florio (cfr. lett. del 9 ottobre 1776).

Si riferisce all’ode sulle delizie di Schönbrunn, che avevano guadagnato a M. il pubblico gradimento della sovrana: Maria Teresa, tramite il Martines, che l’aveva presentata, mandò all’autore doni materiali (una scatola di brillanti) e l’offerta della Croce dell’Ordine di Santo Stefano, più esattamente la croce della quarta classe, quella dei Cavalieri, che dava diritto al grado nobiliare ereditario di Cavaliere; che M., tuttavia, ricusò, allegando la sua età avanzata e dicendo che non avrebbe potuto intervenire alle pubbliche funzioni, né godere delle prerogative dell'Ordine.

Florio, nominato Ciambellano delle Loro Maestà Imperiali nel 1763.

Le rime raccolte nel Canzoniere austriaco.

l’annessa canzone: l’anacreontica «Alza omai dal cheto Eliso», dedicata all’ode di M. relativa alle delizie di Schönbrunn, sorella del sonetto di Florio sullo stesso soggetto («Passò l’orrido verno, e la procella»), poi a stampa in Al celebre Signor Abate Pietro Metastasio. Ode del Signor Conte Daniele Florio Ciambellano delle LL. MM. II. RR. AA., Venezia, Carlo Palese, 1776.
 


da gran tempo ] aggiunta, integrazione posta in interlinea
un così glorioso contrasegno ] gli onorifici contrasegni variante alternativa posta in sopralinea
Parnaso ] Muse variante alternativa posta in sopralinea
ch’elegante ] non perciò eccellente variante alternativa posta in sopralinea (qualcosa è rimasto nella penna)
e le sementi ] aggiunta, integrazione posta in interlinea
siamo umili ] l’umo (sic) s’umilii
d’animo ] variante alternativa posta in sopralinea
s’ ] variante alternativa posta in sopralinea
resta in vita ] il Cielo ne conserva variante alternativa posta in sopralinea
anzi più s’accresce ] variante alternativa posta in sopralinea
conte di Rosemberg ] variante alternativa posta in sopralinea
alle <di> lui ] a suoi (sic) variante alternativa posta in sopralinea
sarebbe insuperbito ] avrebbe avuto motivo variante alternativa posta in sopralinea (omette di insuperbire)