Vienna 15 del 1746

Carissima come qualunque cosa vostra, e quanto merita una nuova testimonianza del vostro amore, m’è giunta la lettera che mi scrivete in data degli 8 del corrente gennaio: e quanto obbligante, altrettanto inaspettato è stato per me l’amoroso rimprovero che in essa mi fate, di non avervi fin ora assicurato d’aver letto il Congresso di Citera#1. Io il lessi e rilessi in Moravia, e con una mia non breve lettera (che avea allora il merito di costarmi considerabil pena per iscriverla) ve ne resi grazie, me ne congratulai con esso voi, e ve ne distesi il mio giudizio, per ubbidirvi. Vi diceva in essa che l’idea m’era paruta pellegrina, vaga, ed una di quelle che con utile inganno non professano che lo scherzo e ravvolgono l’istruzione. Vi applaudiva su la verità e la costanza de’ tre caratteri, e vi esprimeva quanto mi avesse divertito il comico di madama Jasette, il tragico di milady Gravely ed il pedantesco di madonna Beatrice#2. Commendava la locuzione scherzevole e festiva senza scurrilità, e ricca delle più belle merci dell’italiana eloquenza, senza sito di scuola. Mi professava sensibile all’onore che ridondava ad alcune mie espressioni, delle quali vi era piaciuto valervi, confessando che quelle di rozzi sassi, mercé l’amico artificio del maestro architetto, eran divenute parti di così eccellente edificio: «tantum series iuncturaque pollet»#3! E concludea finalmente che bastava questo vostro scherzo, per iscorgere quanta sia stata per voi la parzialità della natura, quale la vostra cura in secondarla, e di che peso sia ne’ vostri pari la qualità, con la quale caratterizza Omero l’eroe «qui mores hominum multorum vidit et urbes»#4. Questa mia lettera fu da me scrittavi e mandata o su la fin di luglio o sul cominciar d’agosto. D’ogni altra mia ho avuta regolarmente risposta, onde l’origine della mancanza dee esser costì. Se farete qualche diligenza, vi verrà facilmente fatto di rinvenirla. Intanto, per non avventurar anche questa, ricopro il vostro nome con quello del mio libraio, che credo molto meno atto del vostro ad accendere la curiosità d’alcuno sino al delitto.

       La mia salute migliora, e migliorando in questa stagione mi riempie d’ottime speranze. Non è però ch’io non risenta i miei incomodi; ma essendo essi ormai quasi in equilibrio con la facoltà di tollerare, io non ardisco lagnarmi.

       E quando vedrò io mai il libretto che da tanto tempo dite avermi diretto#5? Che crudel maniera è codesta di tormentarmi? Non l’ha certamente da voi meritata la tenera amicizia e l’alto pregio in cui giustamente e costantemente vi tiene il vostro

Metastasio

 

Metastasio si riferisce presumibilmente alla prima edizione del Congresso di Citera, pubblicata a Napoli nel 1745, dal momento che poco oltre afferma di averlo letto e commentato in una lettera inviata al suo corrispondente «o su la fin di luglio o sul cominciar d’agosto» del 1745, ma non giunta a destinazione. Come emerge anche da altre lettere del carteggio (lett. 7, 27 ottobre 1746), nel corso della sua vita Algarotti sarebbe tornato più volte sull’opera, pubblicando diverse edizioni riviste e corrette nell’arco di quasi un ventennio. Sulla storia editoriale del Congresso cfr. Bartolo Anglani, Ortes, Algarotti e il “Congresso di Citera”, in «Lettere italiane», LII, 2000, 1, pp. 74-99. L’opera si legge in Francesco Algarotti, Il Congresso di Citera – Montesquieu, Il tempio di Gnido, a cura di Armando Marchi, Napoli, Guida, 1985, pp. 24-68, e in Francesco Algarotti, Il Congresso di Citera, a cura di Daniela Mangione, Bologna, Millennium, 2003.

Ripetendo il contenuto di una precedente lettera non giunta ad Algarotti, l’autore esprime un giudizio molto positivo sull’opera. «Madama Jasette» (ovvero Madama di Jasy), «milady Gravely» e «madonna Beatrice» sono le tre dame che nella finzione narrativa vengono scelte per rappresentare la Francia, l’Inghilterra e l’Italia al congresso indetto da Amore nell’isola di Citera.

Hor., Ars, 242.

Ivi, 142, modellato su Hom., Od., 1, 1-3.

Probabile allusione all’epistola in endecasillabi sciolti Al Signor Abate Metastasio, inviata da Algarotti a Metastasio nel corso del 1746 (cfr. lett. II e 8). Sul possibile rimando metastasiano all’epistola si veda il commento di Anna Maria Salvadè in Algarotti, Poesie, p. 135 (tutte le citazioni in nota delle epistole in versi sono tratte da questa edizione, che riproduce i testi di Li1764-5, VIII, 1765, pp. 67-187). Per i rilievi di Metastasio sul testo algarottiano si veda la lett. 8 del 2 dicembre 1746.