#1 Al Conte Algarotti (Dresda)

Vienna 29 Marzo 1747#2

Amico dilettissimo

Con l’amabilissima vostra lettera del dì 3 del corrente marzo mi avete amico carissimo ricolmato di piacere non meno a vostro che a mio riguardo. Per voi (ch’io amo quanto cosa amabile amar si possa) esulto nel vedervi inoltrare a gran passi nel cammino dell’eternità co’ vostri assidui eruditi sudori: e per me mi compiaccio di così illustri argomenti dell’amor vostro, quali sono i preziosi doni co’ quali me ne andate di tratto in tratto assicurando. Quest’ultimo è ben degno della compagnia degli altri che lo precedono#3. Ho ammirato fra molte altre cose meritevoli d’ammirazione la destra cura di andar variando con le frequenti imagini l’uniformità noiosa che sarebbe stata prodotta da una meno ornata lista d’eroi, che doveva dalle due rivali recitarsi, e nel breve spazio che vi siete prescritto. Non vi parlo dello stile, né della ormai proporzionata fecondità de’ pensieri, alla quale avete saputo prescriver legge senza scemar vigore: perché già altre volte ve ne ho fatto parola#4. Vi avverto per altro di star sulle difese, perché non so come la donna dell’Arno sopporterà la vostra prudente omissione del suo tanto celebrato segretario#5.

      Vorrei pure ubbidirvi allacciandomi la critica giornea#6 , ma non so veramente donde incominciare senza taccia di seccaggine. Ma aspettate, eccovi tre terribili opposizioni: «L’altra fra seni all’Appennino» ecc. Come che la parola «seno» significhi qualunque curvità, è sì poco usata nel particolar senso in cui voi l’impiegate, che non si ritrova a prima vista#7.

      «Che altera in vista alla donna del mare». Mancando l’accento così sulla sesta, che su l’ottava sillaba il verso riesce cadente e poco sonoro: né in questo caso può sostenersi col pregio dell’imitazione della cosa espressa, come il «procumbit humi bos»#8.

      «L’uno il sacro poema u’ Cielo e Terra / Man pose, a noi cantò». Credo che vogliate dire «l’uno cantò a noi il sacro poema in cui posero mano il Cielo, e la Terra». Oltre che la metafora della mano del Cielo e della Terra nelle circostanze fra le quali si trova giunge troppo improvvisa, e pare ardita oltre misura; non so come ridurla al positivo: poiché dell’autore che ha scritto del Cielo e della Terra intendo che possa dirsi che ha posto mano in Terra ed in Cielo: ma non so come possa dirsi lo stesso della Terra e del Cielo di cui è stato scritto#9. Ebbene non vi paiono queste opposizioni terribili? Se queste non vi bastano, io non ho saputo trovarne altre dopo lunga ricerca, onde scrivete male se volete ch’io vi serva più prolissamente.

      La Contessa d’Althann et il Conte di Canal vi mandano mille saluti. Mi congratulo con esso voi della vostra gloriosa platonica peregrinazione che fa tanto onore a voi, e sta degnamente fra le altre lodi di chi ve la prescrive. Amatemi, come io vi amo, e credetemi costantemente

il vostro Pietro Metastasio

Viene indicata come data topica Dresda sulla scorta dell’indicazione presente nell’autografo. In Carducci1883, p. 194, e Lettere, III, p. 294, si suggerisce invece Berlino per via del passaggio di Algarotti alla corte prussiana avvenuto nella primavera del 1747. Il periodo esatto del trasferimento rimane tuttavia incerto. I termini cronologici possono essere congetturalmente indicati tra il 12 marzo 1747 e il 28 aprile 1747 sulla scorta dell’ultima lettera inviata da Dresda a Paolo Brazolo tra quelle attestate in Ve1791-4, IX (1792), pp. 109-116, e in base al riferimento metastasiano alla lettera di Algarotti «del dì 28 [dello] scorso aprile» da Potsdam, contenuto nella lett. 10. 

La scheda catalografica della A-Wst indica erroneamente la data del 29 marzo 1743.

Metastasio si riferisce all’epistola in versi A Sua Eccellenza il Signor Marco Foscarini, in cui le personificazioni di Venezia e Firenze competono tra loro vantando ciascuna la propria rassegna di uomini illustri (cfr. Algarotti, Poesie, pp. 41-44).

Cfr. lett. 7-8 del 27 ottobre e 2 dicembre 1746.

donna dell’Arno: Firenze. Metastasio lamenta l’assenza nel componimento di Machiavelli, omesso da Algarotti dalla rassegna degli illustri fiorentini presumibilmente per motivi di prudenza.

giornea: «toga, veste curiale e d’autorità; abito da cerimonia o da rappresentanza; livrea». L’espressione allacciarsi la giornea, qui usata scherzosamente da Metastasio, significa «atteggiarsi a sapiente, a esperto, a giudice in una determinata materia» (GDLI, s.v. 2, 3).

L’indicazione di Metastasio viene accolta da Algarotti, che modifica il passo in questo modo: «L’altra dell’Arno in sulle sponde a’ piedi / Del selvoso Appennin siede reina» (Algarotti, Poesie, p. 41, vv. 11-12).

Verg., Aen., 5, 481. Metastasio mostra qui una sensibilità metrico-musicale di cui Algarotti tiene conto. Nelle redazioni successive, infatti, il verso muta radicalmente: «Siccome alteramente all’altra addita» (ibidem, v. 19).

Nella stampa il passo viene sistemato come segue: «Il primo è quegli dal poema sacro, / “Al quale ha posto mano e cielo, e terra”» (Algarotti, Poesie, p. 41, vv. 21-22). L’allusione a Dante e il calco di Par., XXV, 1-2 («Se mai continga che ’l poema sacro / Al quale ha posto mano e Cielo e Terra») sfuggono tuttavia a Metastasio, che nella lett. 10 del 13 maggio 1747 ammette: «Né quando prima lessi l’ultima vostra lettera in versi, né quando poi replicatamente la considerai riconobbi l’espressione di Dante».