#1 Al Conte Algarotti

Vienna 13 maggio 1747

Amico dilettissimo

Mi ha ben fuor di misura consolato la dolcissima vostra lettera del dì 28 [dello] scorso aprile da Potsdam, con le liete novelle ch’ella mi reca, ma non mi ha punto sorpreso. Il mio socratico demone mi avea già fatto pregustare tutto il dolce delle vostre allor future vicende, fin dal dì che vi piacque di comunicarmi l’idea e gli stimoli di quel viaggio, che differito poi per cagioni a me ignote, avete pur finalmente ridotto ad effetto. Non credo necessario d’allacciarvi qui la giornea per esagerarvi il mio contento#2: voi sottile investigatore del cuor degli uomini, e già da lungo tempo pacifico possessore del mio, ne conoscete ogni moto senza che io ve l’accenni. Dirovvi solo ch’io sono oltremodo superbo che gli antichi miei sentimenti a riguardo del merito vostro vengano ora solennemente approvati dalle pubbliche e magnifiche decisioni di giudice così grande e così illuminato, e che io numero fra i fortunati eventi della nostra felice Patria l’esser voi stato eletto a sostenere nel settentrione il decoro delle Muse italiane#3.

      Né quando prima lessi l’ultima vostra lettera in versi, né quando poi replicatamente la considerai riconobbi l’espressione di Dante; e me ne so buon grado: poiché a dispetto di tutta la mia libertà di pensare, il peso di tanta autorità avrebbe per avventura potuto sedurre il mio giudizio. Or poiché non v’è più tempo di affettar modestia, protesto francamente che né Dante né Omero medesimo né tutta la poetica famiglia farà mai piacermi quella metafora «delle mani del Cielo e della Terra»#4. La metafora a creder mio dee condurre l’intelletto al positivo per la via di qualche viva e bella immagine: e la povera mia fantasia è miseramente confusa quando intraprende d’attribuir le mani al Cielo et alla Terra; et il mio intelletto suda a dedurre da una immagine così enorme il nudo senso dello scrittore: ma voi non siete nel caso però d’esser ripreso, non essendo voi né inventore, né imitatore di tale espressione come io nel principio ho falsamente creduto. Veggo che il vostro oggetto è stato unicamente il nominar l’opera del Dante come è piaciuto nominarla a lui. Or per mia sicurtà, s’io pensassi come voi pensate avrei almeno gran cura d’informare i lettori di non esser io il fabro di tale espressione e scrivendola con diverso carattere, et accennando in margine il luogo. Già sapete ch’io sono seccaggine, ma poiché voi m’amate anche tale non ho stimoli per correggermi.

      La nostra degnissima Contessa d’Althann, quanto grata alla vostra gentil memoria, tanto memore de’ pregi vostri mi commette di congratularmi con esso voi a nome suo di questo incamminamento de’ suoi presagi. Il Conte di Canale vi darà conto con sue lettere del giusto pregio in cui tiene e voi e le cose vostre, continuate ad amarmi ch’io sono fin ch’io viva veracemente il vostro

Pietro Metastasio#5

 

La data topica viene integrata con l’indicazione della residenza di Potsdam sulla scorta delle epistole algarottiane del 10 e del 15 maggio 1747 inviate da quel luogo a Giovanni Claudio Pasquini e a Eustachio Zanotti, in Ve1791-4, IX (1792), pp. 119-125.

allacciarvi qui la giornea: Metastasio recupera la stessa espressione usata nella lett. 9 del 29 marzo 1747.

Metastasio si congratula con Algarotti per la nomina a ciambellano e cavaliere dell’Ordine del Merito conferitagli da Federico II di Prussia. Dopo il biennio trascorso a Berlino tra il 1740 e il 1742 e i quattro anni passati a Dresda presso Augusto III, nella primavera del 1747 Algarotti torna quindi alla corte di Potsdam per rimanervi fino al 1753.

Metastasio torna qui su una delle tre osservazioni all’epistola in versi A Sua Eccellenza il Signor Marco Foscarini espresse nella lett. 9 del 29 marzo 1747 per confermare le sue riserve sulla metafora «delle mani del Cielo e della Terra» (cfr. Algarotti, Poesie, p. 41, vv. 21-22: «Il primo è quegli dal poema sacro, / “Al quale ha posto mano e cielo, e terra”») in replica alle difese di Algarotti, che nella missiva mancante con tutta probabilità aveva rimarcato la matrice dantesca del verso (Par., XXV, 1-2), sfuggita a Metastasio durante la prima lettura.

In Ve1791-4, XIII (1794), p. 39, è aggiunto il seguente post scriptum non attestato nei testimoni manoscritti noti: «Quando vi cada in acconcio di farlo, ditemi come vi piacquero i capitoli di quel poeta incognito, ch’io vi diedi al vostro passaggio per Vienna, e che mi avete rimandati per via del conte Zinzendorf».

 

Al Conte Algarotti | Vienna 13 maggio 1747] Al Signor Conte Algarotti | a Berlino da Vienna 13 Maggio 1747 B Al Signor Conte Algarotti | da Vienna a Berlino 13 Maggio 1747 C

scorso aprile] dello scorso aprile B del scorso aprile C

ch’ella] che ella B, C

d’allacciarvi qui la giornea] di mettermi in ispesa corretto in interlinea B di mettermi in ispesa C

nostra felice Patria] nostra Patria felice C

delle Muse] delle nostre Muse C

prima lessi corregge la lezione originaria lessi la prima volta A

il luogo] il luogo & c. C

Conte di Canale] Conte Canale B, C

sono] sarò corretto in interlinea B, C

viva] vivo C