#1
a Berlino. Al Signor Conte Algarotti. 21 Aprile 1751 da Vienna
Non avrei ardito di lusingarmi che gl’influssi del santo giubileo esercitassero la loro efficacia fin sul vortice di Potsdam: me ne ha dolcemente convinto il signor Duca di Santa Elisabetta che ieri di ritorno dal suo viaggio di Berlino mi consegnò la risposta ad una mia lettera dell’anno quarantasette #2. Questo spontaneo pagamento d’un debito così stantìo suppone esame, rimorso, proposito et ogni altro materiale necessario ad una perfetta resipiscenza. Anche più che con esso voi, io me ne congratulo con me medesimo; come con quello che risente i più cari effetti di cotesta vostra giustificazione. Confesso che per qualche tempo un così ostinato silenzio ha rincrescevolmente esercitate tutte le mie facoltà investigatrici: sono andato alternamente dubitando or dell’innocenza mia, or della vostra giustizia: e non avendo saputo rinvenire né pur minima cagione per condannarle, ho rimesso il mio animo in assetto, et ho concluso finalmente che il tacer vostro non poteva esser sintomo di sinistro presagio alla nostra amicizia #3. Io credo che le nostre menti soggiacciano alle loro inappetenze, come gli stomachi nostri: ma so altresì che tutte le inappetenze nostre non sono funeste: né sono mai giunto a temere nella vostra svogliatezza un principio distruttivo dell’amor vostro. Povera scuola socratica, se dallo schiccherar d’un foglio dipendesse l’esistenza dell’amicizia! Non si amavan forse i viventi prima che gli Egizi, i Fenici (o chiunque sia stato) s’avvisassero d’inventare i caratteri? Gli animi accordati con certe scambievoli proporzioni hanno fra di loro come le cetre una corrispondenza arcana, per la quale a vicenda perfettamente s’intendono, senza verun bisogno di quei materiali veicoli co’ quali unicamente sanno far commercio di pensieri i profani.
Mi fu carissimo il dono de’ vostri Dialoghi, ch’io rilessi per la terza volta con tutta l’avidità della prima: e mi parve ch’essi non avessero acquistato meno per quello che avete lor tolto, che per quello di che gli avete arricchiti#4. Or prego il Cielo che gli difenda dalla vostra incude#5 su la quale non veggo come potessero tornare senza svantaggio.
Che pensiero ipocondriaco è mai quello che vi va per il capo, di volermi dirigere un vostro libro? Noi altri poveri ranocchi d’Ippocrene#6 non siam figure da frontispizio. Questo è mestiere destinato a quei luminosi figli della fortuna che abbondano d’ogni specie di merito senza soggiacere alla dolorosa condizione di andarne comprando (come i miei pari) qualche minuto ritaglio a prezzo di vigilie, e di sudori. Vi so buon grado dell’amore che vi fa travedere: e per debito di riconoscenza auguro al vostro libro un più decoroso protagonista#7.
Eccovi (poiché così vi piace) la satira d’Orazio, Hoc erat in votis: da me (come sapete) non per inclinazione a così servile impiego, ma per condiscendenza d’amicizia volgarizzata #8. Voi e pochi altri sono capaci di conoscere quanto costi questo ingrato e difficile lavoro, di cui non sono men rari i giudici competenti che gli artisti soffribili. Ditemene il parer vostro dopo averla letta col mio celebratissimo Signor Voltaire #9: a cui direte in mio nome ch’io sono così superbo del suo voto quanto lo sarei di quello d’Atene, e di Roma: alle quali avrebbe egli già accresciuto ornamento, come lo accresce ora all’illustre sua Patria non senza l’invidia di tutte le altre più colte provincie d’Europa #10.
Mi fu recata una vostra lettera dal signor Abate Millesi: gli offersi a riguardo vostro e le mie premure, e me stesso: ma egli, fornito forse di più utili, o di più dolci conoscenze, né si è fatto più vedere in casa mia, né ha voluto confidarmi la sua, onde mi ha risparmiato il rincrescimento di riflettere su la mia insufficienza a servirlo #11.
Un’altra me ne ha consegnata il gentilissimo Signor Torres: col quale m’incontro quasi tutti i giorni. Io l’amo come vostro amico, come giovane di non ordinario talento e desideroso di sapere. Mi piace di ragionar seco: e mi rapisce in lui quel grazioso misto d’autorità spagnuola e di vivacità francese #12. La Contessa d’Althann et il conte di Canale vi ringraziano, vi salutano, e vi desiderano. Et io teneramente abbracciandovi, vi prego di riamarmi, e di credermi
il vostro Pietro Metastasio
P. S. A dispetto de’ miei tormentosi et ostinati affetti isterici#13 ho dovuto eseguire gli ordini augustissimi scrivendo una nuova opera da rappresentarsi in musica nel venturo autunno da dame e da cavalieri. Sono già alcuni giorni che mi trovo sul lido dopo una navigazione più breve e più felice di quello ch’io non ardiva promettermi #14. Ve ne dimanderò il vostro giudizio subito che non sarà delitto il comunicarla. Addio.
Il testo base è esemplato sulla lettera che si legge nel cod. 10279 (copialettere A) perché non è stato possibile prendere visione dell’autografo, venduto all’asta nel 2010 dalla Galerie Bassenge di Berlino (cfr. «invaluable», [Online], consultato il 28/01/2024. URL: https://www.invaluable.com/auction-lot/%20metastasio,-pietro:-brief-1751-an-francesco-algar-1-c-4ff82fa498#).
Alludendo giocosamente ai benefici influssi del Giubileo del 1750 appena passato, Metastasio informa Algarotti di avere ricevuto tramite il duca di Santa Elisabetta una sua lettera dispersa risalente al 1747. Il duca qui citato è il palermitano Antonino Montaperto e Massa (1710-1782), giunto a Vienna nel 1750 con l’ambasciatore del Regno di Napoli Pietro Beccadelli Bologna e Reggio, principe di Camporeale, ed eletto nel settembre 1751 ministro plenipotenziario a Dresda. Nell’aprile del 1751 il duca si trovava in visita a Berlino. Su di lui cfr. Flavia Luise, Santa Elisabetta, Antonino Montaperto e Massa duca di, in DBI, XC, 2017, pp. 360-362.
Secondo le lettere superstiti del carteggio, il silenzio epistolare era durato circa tre anni e mezzo (l’ultimo documento noto prima di questa missiva è la lett. 12 del 16 settembre 1747).
L’autore si riferisce presumibilmente alla nuova edizione del Neutonianismo pubblicata con il titolo di Dialoghi sopra la luce, i colori e l’attrazione a Berlino nella reale stamperia di Giovan Goffredo Michaelis, nel 1750. Tramite un esponente della famiglia Perlas Torres, su cui si veda la nota 11, una copia dell’opera viene recapitata nei mesi seguenti anche al conte di Canale: «Monsieur Perlas Torres m’a remis de votre part, Monsieur, un exemplaire de la dernière édition des Dialogues» (lettera del Canale ad Algarotti dell’8 novembre 1751, BACR, Concordiano 329/84). Come si legge nella lett. 6 del 6 ottobre 1746, tempo prima Metastasio aveva ricevuto anche la precedente edizione, pubblicata nel 1746 dagli eredi Hertz di Venezia, ma con indicazione di Napoli sul frontespizio.
incude: incudine. Alludendo al verso oraziano «male tornatos incudi reddere versus» (Hor., Ars, 441), peraltro già citato in altro contesto anche da Algarotti nella lett. II, Metastasio ammonisce il proprio corrispondente a evitare gli eccessi del labor limae. Tornare sistematicamente a rivedere e correggere le proprie opere una volta licenziate rischia infatti, secondo Metastasio, di danneggiare l’opera anziché di giovare. Lo stesso consiglio veniva suggerito a proposito del Congresso di Citera nella lett. 8 del 2 dicembre 1746 e, in termini più generali, nella lett. 12 del 16 settembre 1747.
ranocchi d’Ippocrene: espressione alternata nell’epistolario metastasiano a «ranocchi di Parnaso», da intendere come ‘poeti di poco valore’.
Metastasio rifiuta la proposta di Algarotti di dedicargli un libro. In assenza di ulteriori elementi, non è possibile individuare a quale tra le numerose opere di Algarotti edite o ristampate in quel periodo faccia riferimento l’autore.
Metastasio allude alla traduzione in terza rima della sesta satira del secondo libro dei Sermones di Orazio intrapresa «per compiacere» al conte di Canale, come si legge nella lett. 12 del 16 settembre 1747, e già da lungo tempo conclusa.
L’amicizia tra Algarotti e Voltaire risaliva al soggiorno parigino del conte negli anni 1734-1736 e alla comune frequentazione del salotto di Madame du Châtelet (cfr. Silvana Bartoli, La felicità di una donna. Émilie du Châtelet tra Voltaire e Newton, Firenze, Olschki, 2017, pp. 65-66). I due si erano ritrovati tra il 1749 e il 1752 a Berlino, alla corte di Federico II di Prussia: oltre al biennio 1740-1742, Algarotti vi si era trattenuto dalla primavera del 1747 al febbraio del 1753, Voltaire dal 1749 al 1752 (sui loro rapporti culturali cfr. Haydon Trevor Mason, Algarotti and Voltaire, in «Rivista di letterature moderne e comparate», XXXIII, 1980, 3, pp. 187-200, e, più in generale, sulle relazioni con la cultura francese cfr. Philippe Hamou, Algarotti entre Fontenelle et Voltaire, in Popularité de la philosophie, coord. par Philippe Beck, Denis Thouard, Fontenay-aux-Roses, ENS Éditions, 1995, pp. 13-40). L’invio della satira per il tramite di Algarotti è significativo perché rimarca un aspetto particolarmente lusinghiero del giudizio che Voltaire aveva dato sulla poetica metastasiana. Il primo riconoscimento della vena “oraziana” di Metastasio, pur indiretto e mediato dall’alto grado di letterarietà del testimone, si legge nella lettera di Algarotti a Voltaire del 10 dicembre 1746 (ma in realtà «riscrittura fittizia della lettera dell’11.XII.1746» che si legge in Ve1791-4, XVI (1794), pp. 91-96, su cui cfr. Valentina Gallo, Voltaire, l’epistolario italiano (prima parte), in «Epistolographia», I, 2023, pp. 133-148: 133), in cui il conte afferma che le «ariette del nostro Metastasio» vengono appunto paragonate dal filosofo «con le ode di Orazio» (Ve1791-4, IX, 1794, p. 85, poi in Illuministi italiani, II, p. 549). Il secondo risale invece al 1748 ed è formulato pubblicamente da Voltaire nella Dissertation sur la tragédie ancienne et moderne premessa alla Sémiramis: «Les paroles de ces airs détachés sont souvent des embellissements du sujet même; elles sont passionées, elles sont quelquefois comparables aux plus beaux morceaux des Odes d’Horace» (citazione tratta dall’edizione Amsterdam, Ledet, 1750, p. 6). Il passo voltairiano è ripreso da Algarotti nella nota (14) dell’epistola in versi Al Signor Abate Metastasio, su cui cfr. Algarotti, Poesie, pp. 15-16 e l’Appendice 2 al presente volume. In realtà, nella Dissertation il discorso si inserisce all’interno di una riflessione sul dramma per musica ben più articolata, in cui l’opera metastasiana, pur elogiata senza riserve, «doveva necessariamente essere abbandonata, in quanto quella alta e difficile esperienza non era più ripetibile» (Giovanni Da Pozzo, I giudizi di Voltaire su Metastasio e sulla “tragédie-opera”, in Il melodramma di Pietro Metastasio, pp. 677-696: 694). Al di là delle reciproche e sincere attestazioni di stima, i due autori sembrano guardarsi con una certa circospezione, come suggerisce anche l’assenza di contatti epistolari diretti. Sull’alta considerazione che Metastasio aveva del giudizio di Voltaire si veda comunque la lettera alla contessa di Béthune, 31 marzo 1756, in Lettere, III, pp. 1102-1103. Oltre allo studio di Da Pozzo, sul rapporto tra i due cfr. Andrea Fabiano, Metastasio, Voltaire, Diderot, Marmontel e l’opera francese, in «Problemi di critica goldoniana», VIII, 2001, pp. 203-221; Lionello Sozzi, Da Metastasio a Leopardi. Armonie e dissonanze letterarie italo-francesi, Firenze, Olschki, 2007, pp. 23-48; Caruso, Metastasio e il dramma antico, pp. 152-185; Giovanni Ferroni, Voci metastasiane, Firenze, Le Lettere, 2022, pp. 3-61.
Il resto della lettera viene omesso in Vi1795, II, p. 11.
Le informazioni sull’abate Millesi, o Milesi, sono scarse. Da due lettere a lui indirizzate il 28 settembre 1751 e l’11 novembre 1752 si deduce soltanto che l’abate si trasferì da Vienna alla corte di Dresda nella tarda estate del 1751. Nella lettera a Francesco Cavanna del 24 maggio 1732, tuttavia, Metastasio segnala la presenza a Vienna di un tale Millesi noto al destinatario e residente «fuori di città», identificabile forse con uno degli impresari che insieme a Cavanna, Leonardo Vinci e altri il 31 gennaio 1729 firmarono a Roma un contratto d’affitto novennale per il teatro delle Dame. Risulta però difficile stabilire se il Millesi in questione sia lo stesso o un parente di quello qui citato da Metastasio, oppure solo un omonimo. Sugli affari romani di Millesi cfr. Francesco Valesio, Diario di Roma, a cura di Gaetana Scano, con la collaborazione di Giuseppe Graglia, 6 tt., Milano, Longanesi, 1977-1979, V (1979), p. 14; Saverio Franchi, Drammaturgia romana. II (1701-1750), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. LIII-LIV; Id., Patroni, Politica, Impresari: le vicende storico-artistiche dei teatri romani e quelle della giovinezza di Metastasio fino alla partenza per Vienna, in Metastasio da Roma all’Europa, a cura di Franco Onorati, Roma, Besso, 1998, pp. 7-48, poi in Il giovane Metastasio / Der junge Metastasio, a cura di Francesco Cotticelli, Reinhard Eisendle, Wien, Hollitzer, 2021, pp. 73-106.
Gli scarni indizi sul «Signor Torres» forniti dalla lettera non permettono un’identificazione precisa: potrebbe trattarsi dello stesso «Monsieur Perlas Torres» (da non confondere con il «Monsignor Perlas» più volte citato nell’epistolario metastasiano, al secolo Carles de Vilana Perlas), che alcuni mesi più tardi consegna al conte di Canale un’altra copia dei Dialoghi oltre a quella recapitata a Metastasio (cfr. la lettera del Canale ad Algarotti dell’8 novembre 1751, BACR, Concordiano 329/84), mentre, come nota già Brunelli (Lettere, III, p. 1242) è poco probabile che Metastasio si riferisca a Emanuele Antonio Torres junior o a un altro figlio del maresciallo Torres e di Francesca Maria Orzoni perché la coppia si sposò solo nel 1741. Sui Torres e sul loro rapporto con Metastasio si rimanda a Paola Cosentino, Gorizia, Trieste, Vienna: le lettere di Metastasio a Francesca Torres Orzoni, in Incroci europei, pp. 231-251; Ead., Le allieve di Metastasio. Per una ricognizione degli ambienti viennesi intorno al poeta, in La Vienna di Metastasio, i.c.s.; Antonio Trampus, “La bella gioventù sta in moto”: Metastasio, la famiglia Torres e i giovani metastasiani attraverso gli album Auersperg e Karl von Zinzendorf, in La Vienna di Metastasio, i.c.s.
In Ve1791-4, XIII (1794), p. 45, il termine «isterici» è sostituito da «ipocondriaci».
Metastasio allude al libretto del Re pastore. L’opera andrà in scena per la prima volta presso lo Schlosstheater di Schönbrunn il 27 ottobre 1751 con musica di Giuseppe Bonno (cfr. Metastasio, Drammi per musica, III, pp. 197-246, 558-560). L’autore rimarca la relativa facilità di scrittura del dramma anche con altri corrispondenti dell’epistolario. Si veda in particolare la lettera ad Antonio Tolomeo Trivulzio del 22 aprile 1751, in Lettere, III, p. 629: «Le ho trovate [le Muse] meno ritrose di quello che meritava l’ingiuriosa freddezza con la quale confesso d’averle trattate da qualche tempo in qua. Ma forse appunto per questo le ho esperimentate cortesi».
a Berlino. Al Signor Conte Algarotti. 21 Aprile 1751 da Vienna] Al Signor Conte Algarotti | Da Vienna a Berlino. 21 Aprile 1751 B
ieri di ritorno dal suo viaggio di Berlino mi consegnò la risposta]corregge la lezione mi consegnò la risposta ieri di ritorno dal suo viaggio di Berlino A
nostre aggiunto in interlinea A
d'inventare corregge d’investigar, cassato da un frego A
di aggiunto in interlinea A
quanto corregge come, cassato da un frego A
fornito aggiunto a margine B
quasi corregge quasi che, cassato da un frego A