Illustrissimo Signor mio Padrone Colendissimo

Dal signor Rinaldo Bracci (che a dispetto delle scambievoli ricerche non ho ancora veduto)#1 mi è stato lasciato in casa il gentilissimo foglio di vostra signoria illustrissima pieno d’espressioni a tale eccesso obbliganti, che il rossore di non meritarle, tempera in me la concepita superbia per così desiderabile corrispondenza. Ella è troppo vantaggiosamente prevenuta a mio riguardo, né giova a me disingannarla, almen fin tanto che il merito della servitù mia mi assicuri il possesso della sua preziosa amicizia. Senza la testimonianza del nostro signor vicario Damiani#2, ella poteva imaginarsi quanto io rispettassi il suo nome. Ha già tanto ricevuto, e tanto spera da lei tutto il mondo letterario, che ormai senza venerarla non si può vivere in esso. Ho trovati di questi medesimi sentimenti il signor Marchese Bartolommei#3 et il signor baron Ficner#4 co’ quali ho lungamente parlato di vostra signoria illustrissima e m’assicurano che il gran duca le rende la dovuta giustizia. Determini ella l’inclinazione del suo sovrano suggerendogli qualche opportunità di premiarla. Io m’offro a far qui le sue parti, e mi terrò fortunato se in alcun modo potrò aver conferito ad un’opera così degna. Intanto io, non men geloso del mio nuovo acquisto, che impaziente di meritarlo, la priego a somministrarmene l’occasione ed a credermi con tutto il rispetto.                       

Vienna 17 7bre 1740

Di Vostra Signoria Illustrissima Devotissimo Obbligatissimo Servitore Vero
Pietro Metastasio

P.S.#5 Non parlo a vostra signoria Illustrissima del suo affare perché il signor marchese Bartolommei glie ne scriverà verisimilmente oggi. L’altezza reale del serenissimo gran duca e tutti quelli che lo circondano sono inclinati a favorirla, e spero che ne avrà sollecitamente utili prove. Perché la suppongo curiosa della mia sorte le soggiungo che la nostra regina (che già ne’ primi giorni del suo governo è divenuta l’amore, e l’ammirazione universale)#6 si è degnata di farmi comandare, e poi di comandarmi di propria bocca di rimanere nel suo real servizio: ma non so fin ora a quali condizioni, né con qual titolo. In qualunque maniera io rimanga sarò il suo sollecitatore, per quanto la mia efficacia si stenda#7. E le bacio le mani

 

 

L’erudito fiorentino Rinaldo Maria Bracci (1710-1757), legato alla famiglia dei Rinuccini, si trovava di passaggio a Vienna in procinto di recarsi a Varsavia, dove avrebbe svolto l’incarico di custode del Gabinetto di medaglie per il re polacco Augusto III. Tornato a Firenze dopo solo un anno di servizio, nel 1741, si dedicò all’attività di commentatore, stilando, ad esempio, alcune interessanti note sulle Satire di Benedetto Menzini. Il Bracci fu inoltre autore, sotto lo pseudonimo di Neri della Boccia, di un’edizione di Tutti i trionfi, carri, mascherate e canti carnascialeschi del tempo del Magnifico Lorenzo de’ Medici sino all’anno 1559, 1750, 2 voll. (cfr. G. Savino, Bracci, Rinaldo Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIII, 1971, pp. 625-626; Maria Augusta Timpanaro Morelli, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766), Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1996, p. 90).

Il poeta volterrano Mattia Damiani (1705-1776) fu vicario del vescovo di Pescia, Gaetano Incontri; quando questi, nel maggio del 1741, divenne arcivescovo di Firenze, Damiani lo seguì e assunse la carica di direttore della biblioteca Riccardiana. Sul rapporto tra il poeta e M. cfr. Paola Cosentino, Per l'epistolario di Metastasio: alcuni inediti della Biblioteca Vaticana, «Atti e memorie d’Arcadia», VII, 2018, pp. 211-232 (cfr. la relativa nota biografica). L’amicizia tra Gori e Damiani fu invece dovuta in particolare alle campagne di scavo nella cittadina toscana, in seguito ai primi ritrovamenti di reperti etruschi, le quali scatenarono una vera e propria caccia al tesoro. Gori fu a Volterra in più di un’occasione, a partire dal 1731.

Trattasi di Ferdinando (e non Girolamo, come riportato in Brunelli, III, p. 1202) Matteo Maria Bartolommei, già ambasciatore presso la corte viennese sotto Cosimo III e Gian Gastone. Alla morte dell’ultimo granduca mediceo, fu richiamato a Firenze, nel 1737, da Francesco Lorena e nominato Consigliere di Stato. Oltre a curare i contatti con Gori, Bartolommei fu anche uno degli interlocutori tra M. e Mattia Damiani (cfr. a Damiani, 13 settembre 1738). Non si sono tuttavia rinvenute salde indicazioni biografiche: qualche riferimento, oltre in Antonio Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, Firenze, Molini, 1850-1853, I, 1, nonché nei fondamentali studi di Furio Diaz, si trovano in Barbara Marangoni, Lo studio di Pisa nell’età della Reggenza (1737-1765). Aspetti della politica e delle istituzioni scolastiche, «Rivista di storia del diritto italiano», LXVIII, 1995, pp. 153-202: 188; Alessandra Contini, La reggenza lorenese tra Firenze e Vienna. Logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1766), Firenze, Olschki, 2002, passim. Non è presente alcuna voce nemmeno nell’Indice biografico italiano.

Non identificabile con precisione: il nobile viene citato anche come «Phutchner» nelle successive missive. Il nome del barone ritorna anche in Francesco Fontani, Elogio del dottor Giovanni Lami recitato nella Reale accademia fiorentina nell’adunanza del dì 27 settembre 1787, Firenze, Cambiagi, 1789: in questo scritto, incentrato sulla polemica tra Lami e Gori (cfr. la nota biografica) si parla di «Pfuchner», con qualche «credito di letterato», come uno dei principali protettori di Gori a Vienna, il quale non si esimeva dal «prestargli quei migliori ufizj che per lui si fosser potuti» (p. 155).

Carducci, pp. 136-138, attribuisce il post scriptum a Gori, 12 novembre 1740; l’errore è poi stato riproposto dal Brunelli, il quale aveva tratto spunto proprio dall’edizione carducciana: infatti, non soltanto il curatore non segnalava la lettera come inedita, ma non ne indicava nemmeno la fonte manoscritta.

Trattasi ovviamente di Maria Teresa d’Austria, già erede designata, poi definitivamente al comando dopo la morte del padre Carlo VI (20 ottobre 1740).

Come emerge dall’epistolario goriano, Bartolommei svolse il ruolo di patrocinatore del fiorentino presso la corte viennese. Nel 1735 l’ambasciatore si premurò di organizzare una sottoscrizione per la stampa dei due monumentali volumi in folio del Museum etruscum (1737). L’opera era stata peraltro richiesta in altri parti d’Europa, tra cui Lipsia, Zurigo e Ginevra (cfr. Stefano Bruni, Anton Francesco Gori, Gaetano Albizzini, Francesco Vettori e l'officina del Museum Etruscum, «Symbolae antiquariae», vii, 2014). Da una lettera destinata a Gori (9 luglio 1735) si apprende che Bartolommei si impegnò per diffondere un’altra opera dell’etruscologo, i tre volumi delle Inscriptiones antiquae in Etrurie urbis exstantes, dedicati alla principessa Violante Beatrice di Wittelsbach. In questo caso M. si riferisce all’attribuzione, da parte di Carlo VI, di una rendita annuale a favore di Gori, sfruttando le disponibilità dell’ospedale fiorentino Bonifazio («nominazione di un Benefizio vacante nello spedale di Bonifazio»), come si evince ancora da due lettere del Bartolommei (12 novembre 1740 e 12 gennaio 1741). Dagli studi esistenti non sono emersi dettagli in merito a questa assegnazione: forse qualche traccia si potrebbe rinvenire tra le carte conservate in Marucelliana.

Il Serenissimo Gran Duca ] Serenissimo cassato A