Vienna 18 maggio 1767.

Illustrissimo Signore Signore Padrone Colendissimo

Mi ha divertito mio caro signor Rovatti, il medico trattatino col quale vi siete compiaciuto additarmi le differenze fra le affezioni isteriche, et ipocondriache, e mi è piaciuto di ritrovarvi così istrutto in cotesta parte di fisica, essendo per altro ancor così giovane che non vi è fin’ora occorso mai di sentire un ipocondriaco lagnarsi per ischerzo di patir di mal di madre#1 scherzo per altro comunissimo, e che presentando a prima vista l’assurdo d’esser divenuto femina, spiega egregiamente la somiglianza degli stravaganti effetti di cotesti e virili e feminili incomodi. Chi scrive, o parla festivamente, come è convenevole fra gli amici, si vale lodevolmente di cotesti modi innocentemente ridicoli, che sono a tenor de’ canoni aristotelici deformitas sine dolore#2.
          Ho raccomandata all’eminentissimo Piccolomini#3 la vostra supplica per la desiderata licenza, ma temo molto l’ostacolo del difetto che v’invidio. Addio caro signor Rovatti conservatevi, e credetemi

Di Vostra Signora Illustrissima
Il Vostro Devotissimo Obbligatissimo Servitore
Pietro Metastasio
 
 

M., che ama utilizzare un registro allusivo e brillante, sovente codificato e formulaico, nelle conversazioni più familiari e soprattutto quando parla della sua salute, non può non sottolineare l’intento scherzoso con cui parla d’isteria, il «mal di madre»; negli anni successivi il rapporto confidenziale con il modenese permetterà l’uso abituale di questi codici nelle lettere a lui rivolte (si veda Spaggiari, Scheda per l’epistolario di Metastasio, p. 104).

Come si legge nella Poetica nella traduzione latina di Alessandro Pazzi de’ Medici, «ridiculum enim aliquo pacto peccatum est, et turpitudo sine dolore minimeque noxia: perinde ac ridicula statim appareat deformis facies, distorta, sine dolore» (Aristotelis Poetica per Alexandrum Paccium, patricium Florentinum, in Latinum conversa, Venetiis, in aedibus haeredum Aldi, et Andreae Asulani soceri, 1536, p. 9). Nel Cannocchiale aristotelico Tesauro aveva scritto: «Non ha dunque dubio niuno che la deformità non sia la materia e ’l fondamento de’ ridicoli. Ma il dubio esser può in quell’altra circonstanza aggiunta dal nostro autore: deformitas sine dolore: cioè, che non rechi noia. Perché pur’è chiaro per isperienza che molte volte si ride a piene gote di alcune cose assai vergognose, o dolorose a cui toccano» (Emanuele Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, in Torino, per Gio. Sinibaldo, 1654, p. 651).

Il conte senese Tommaso Piccolomini, fratello del cardinale Enea Silvio, fu segretario delle Tratte, Consigliere di Stato, successore dal 1761 di Vincenzo degli Alberti nel Consiglio di Toscana a Vienna e Ministro degli Affari esteri del Granducato di Toscana.