Vienna 23 9bre 1768.

Amico Carissimo

È verissimo mio caro signor Rovatti che otto mesi sono una lunga dilazione per la risposta di due lettere: ma è costante altresì che 436 pagine manoscritte e di materie scientifiche#1 che trascorrono per tutti i più riposti nascondigli celestium, terrestrium, et infernorum#2 non sono una lettura da farsi a guisa di quella delle gazzette, ma un lungo bensì e laborioso studio, che esige tempo, salute, genio, e risoluzione. L’amore e la stima ch’io ho veramente per voi mi hanno indotto ad intraprenderlo, ma per le lunghe parentesi alle quali mi hanno obbligato e le ineguaglianze della mia capricciosa salute et il numero delle crescenti mie corrispondenze, alle quali non posso né bastare, né sottrarmi; mi manca ancora un buon terzo dell’incominciata carriera, né saprei dirvi quando mi riuscirà di compirla. Ma posso ben dirvi ch’io ho ammirato tremando l’eccesso della vostra indefessa studiosa applicazione: la quale senza miracolo non può mancar di distruggere affatto una macchinetta di temperamento delicato e così minacciata come è la vostra. Se aveste una costituzione atletica ne fareste ancora abuso reprensibile facendo ciò che voi fate: or pensate quanto sia commendabile in quella che voi stesso deplorate, descrivendola, una così disprezzante trascuranza della vostra esistenza, della custodia della quale siete debitore a Dio, ai genitori, agli amici ed a voi medesimo. Io mi ero sommamente consolato sentendovi invaghito dello studio della storia naturale: studio che bisognoso d’infinite osservazioni, dovrebbe molto distrarre dalla lima del tavolino: ma in voi è visibilmente stato un accrescimento di peso, non un sollievo. Il portentoso tesoro delle pellegrine erudizioni che nell’età vostra avete già saputo raccogliere non si trova ne’ prati, e ne’ giardini: né l’imaginare, disporre e partorire poemi scientifici con quella attentissima cura che voi c’impiegate è la strada di rallentar quell’arco che minaccia di rompersi o di perder tutta la sua elasticità se dee continuamente esser teso. Pensateci, caro amico, e ricordatevi che sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum#3.
          Mi ha sommamente afflitto l’erronea opinione che voi avete di quella compagnia che pensareste di dare alla mia eroina#4. Oh Dio buono! Da quai fanatici vi siete lasciato sedurre? Oh come mai ingannano la vista gli oggetti mirati in lontananza! Rimanga fra noi questa confidente esclamazione. Non vi stancate di riamarmi: datemene prova con aver più cura di voi medesimo, e credetemi con la più costante e tenera stima

Il Vostro Devotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio
 

 

La somma delle facciate delle due lettere più il poema Sull’origine delle fontane con le annotazioni.

M. cita la paolina Lettera ai Filippesi: «ut in nomine Jesu omne genu flectatur caelestium terrestriumt et infernorum […]» (Fil. 2, 10).

Hor. sat. 1, 106-107.

Il riferimento (a Maria Teresa d’Austria, spesso chiamata «eroina» da M. e «Austriaca Giuno» protagonista dell’apoteosi finale nel poema di Rovatti) non è chiaro.