Illustrissimo Signore Signore Padrone Colendissimo

Vienna 13 febbraio 769

L’affettuose espressioni tanto in prosa che in rima, delle quali è ripiena l’ultima lettera data il di 27 gennaio dal mio caro signor Rovatti, sono esattamente contraccambiate da’ miei grati e teneri sentimenti per lui: né mi trattengo ad esagerarli, sicuro ch’egli ne sia pienamente persuaso. La savia damina di cui tempo fa gli parlai non è più sotto il mio meridiano. Ella si è trasportata, e stabilita nella Boemia, e probabilmente non avrà tempo per esser curiosa delle faccende del Parnaso; e quando ancora non vi fosse questo insuperabile impedimento, io non avrei mai potuto indurla ad impegnarsi ad un commercio letterario: troppo ella temeva di entrar nel catalogo des femmes savantes#1: graduazione (secondo il parer di lei) almeno ridicola nelle persone del suo sesso. Io tremerei più di quello che tremo per la salute dell’amabile mio signor Rovatti s’egli cedesse mai alla tentazione d’esporla a questo ruvido clima, dal quale fuggono in Italia quei nazionali medesimi che hanno la di lui tenue, e cagionevole complessione. Et oltre l’esser pericolosa la corsa, potrebbe anche darsi che divenisse inutile: poiché io non son sicuro di resister sempre all’antico mio giusto desiderio di rivedere una volta, almeno per qualche tempo, il mio paterno terreno#2.
          Addio caro signor Rovatti. Abbracci in vece mia il nostro signor abate Brandoli, si conservi gelosamente a se stesso, alle Muse et agli amici, e mi creda sempre

Di Vostra Signoria Illustrissima

Devotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio

Chiara allusione alla commedia di Molière del 1672.

Del desiderio di tornare a rivedere almeno una volta l’Italia M. aveva parlato pochi anni prima a Farinello: «È verissimo, caro amico, ch’io avrei una eccessiva voglia di fare una corsa in Italia: ma vi sono tanti pifferi da accordare che non è facile il determinarsi. Il Mezzogiorno, il Settentrione, il Levante, il Ponente, e ogni cantone di questo misero globo che abitiamo ha le sue intemperie particolari: e convien regolarsi da piloto prudente, non già per evitar le disgrazie, che vengono quando vogliono anche a dispetto della prudenza, ma per non esporsi ai rimorsi, che sono il maggior tormento degli uomini che ragionano. Ma non crediate per questo ch’io deponga la speranza di rivedere una volta, almeno per qualche tempo la bell’Italia. Chi sa?» (a Carlo Broschi, 14 novembre 1764; cfr. Lettere, IV, p. 324).