Amico Dilettissimo

Vienna 8 maggio 769.

È difficile mio caro signor Giuseppe Rovatti#1 ch’io vi spieghi la confusione nella quale si è trovata la mia povera fantasia nella lettura dell’ultima vostra lettera senza data, e sottoscrizione. La moltiplicità delle idee tutte eterogenee fra loro, dalle quali mi son trovato circondato, ha infusa una specie di stupore al mio raziocinio, che l’ha reso per alcun tempo inabile alle sue consuete combinazioni. Ho ammirata (per cagion d’esempio) l’invidiabile felicità con la quale esprimete, quando a voi piace, i più difficili concetti, a dispetto delle angustie del verso: e nel tempo stesso mi son trovato intricato fra le tenebre delle vostre enigmatiche querele contro di me, per una non so qual signoria ch’io non mi sovvengo di aver mai inopportunamente impiegata: e che in qualunque caso non meriterebbe mai il calore, e la vivacità del vostro risentimento#2. Mi son teneramente compiaciuto della affettuosa amicizia con la quale contraccambiate la mia; ma non so intendere come possiate compiacervi voi nelle funebri imaginazioni dell’ultima  dissoluzione delle persone che amate. Insegna la natura a tutta l’umanità di scacciarle quanto è possibile, anche quando visibilmente sovrastano: e voi le chiamate con molto studio senza imminente occasione; vi dilettate nel colorirle, vi trattenete con piacere fra i tumuli, le ceneri, i cipressi e le nenie, e celebrate prolissamente in vita i vostri, coi miei funerali. Or vedete che strano sintomo è questo d’amore. Mi ha sempre edificato, e mi edifica e nelle passate e nella presente vostra lettera la solida religiosa pietà della quale vi veggo imbevuto; et ora mi date occasione di credervi poco grato alla, verso di voi specialmente, benefica Providenza#3. Facendovi ella nascere fra le opulenze domestiche, vi ha liberato dal pericolo di qualunque avvilimento al quale avesse potuto costringervi la necessità di procurar sussistenza: e voi quasi contando per nulla un così invidiabile stato, ambite la misera sorte di quegl’infelici che per sostenersi in vita sono obbligati a mendicar soccorsi dai superbi, ignoranti e per lo più malvagi figli della fortuna che voi chiamate mecenati. Non potrei io senza ingiustizia non conoscere e commendar la vostra indefessa applicazione, e la dottrina della quale nel più bel fiore degli anni vostri avete già saputo fornirvi. Ma come mai fra tante cognizioni non sapete ancora che solo i seguaci di Giustiniano, o di Galeno#4 hanno diritto di superar la comune avarizia, con la sensibile idea del bisogno che si ha, o si crede d’aver di loro? E che tutte le altre quantunque eccellentemente impiegate facoltà dell’ingegno sono o disprezzate o neglette da cotesti miserabili Cresi, che nella loro deplorabile ignoranza la prima cosa che ignorano è il proprio bisogno d’essere illuminati? È vero che possono prodursi alcuni, ma rari, antichi e moderni esempi di qualche munificenza usata a favor delle lettere: ma queste munificenze, appunto perché sono specie di portenti, si trovano registrate, e chi potesse saperne gli aneddoti trovarebbe che per lo più il merito ha servito loro di pretesto non di motivo. La materia è vasta, ma la mia facoltà è limitata, e già sono stanco di scrivere. Il vostro angelico docilissimo costume mi assicura che voi gradirete (come è ragionevole) l’amorosa paterna franchezza con la quale io vi parlo: e che invece di beccarvi il cervello a scrivermi una ingegnosa, eloquente e dotta apologia#5, vi studierete a cercare in voi stesso e ne’ vantaggi de’ quali l’Altissimo vi ha provveduto quella felicità che sognate nelle esterne assistenze. E questa è l’unica via di mettere in calma i tumulti dell’animo vostro, che chiaramente si palesano nel contrasto delle contradditorie idee che ne germogliano e vi tormentano. Addio mio caro signor Rovatti: io sono e sarò eternamente 


          P.S.
          Al nostro amabilissimo signor abate Brandoli una dozzina di strettissimi abbracci a mio nome#6.

Il Vostro Devotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio

 

Nel copialettere B (cod. 10273) il nome di Rovatti è celato dalla sigla ‘N.N.’.

M. – che, anche ipotizzando che l’abbia fatto di proposito visti i suoi numerosi corrispondenti, si è probabilmente già dimenticato di aver utilizzato il saluto formale «Vostra Signoria Illustrissima» nella lettera precedente – non capisce, o mostra di non capire, il riferimento scherzoso di Rovatti.

Dopo aver respinto con fastidio la morbosa immagine evocata della sua morte (per la seconda volta), qui M. si scaglia con evidente esasperazione, a cui nemmeno questa volta è forse alieno un sentimento paterno, contro l’ingratitudine giovane modenese, nato in una famiglia moderatamente agiata, come peraltro testimonia la parentela con Giuseppe Riva (si è visto più volte che Rovatti riceve periodicamente un emolumento dal padre), e che vorrebbe cercare il favore dei mecenati pur avendo altre alternative. 

Uomini di legge e medici, assai più ‘necessari’ dei letterati o dei naturalisti, e pertanto proverbialmente ben pagati.

In questo caso M., che pure ammira la docilità di Rovatti verso le critiche e i consigli, non può non temere le altrettanto comprovate capacità del giovane di deflettere e cercare di rispondere a una reprimenda in bello stile, come se fosse unicamente una tenzone letteraria.

Il post scriptum è presente solo nell’autografo.

 

 

Amico Dilettissimo ] Al Signor N.N. da Vienna a Modena. 8 maggio 1769 B

signor Giuseppe Rovatti ] signor N.N. B

senza data e sottoscrizione ] senza data e senza sottoscrizione B

caro signor Rovatti ] caro signor N.N. B