Vienna 13 9bre 769.
Mi è pervenuta fedelmente amatissimo signor Rovatti la vosta bellissima, affettuosa, poetica e cortesemente risentita lettera in versi#1, con la quale dimandate in maniera obbligante ragione del mio lungo silenzio: e mandate per esattore de’ vostri crediti l’imaginato timore della mia fredda, et ingiusta dimenticanza. Dopo essermi congratulato con esso voi di questo nuovo vostro leggiadrissimo componimento, che mi pare più giudizioso, ordinato, e felice di quanti finora me ne avete mandati, vi dirò per risposta preliminare: che non solo non ho cessato d’amarvi ma che vi amo, vi stimo e vi considero ogni giorno più, non solo per debito di contraccambio, ma perché sempre ho nuovi motivi d’essere innamorato del candido vostro illibato costume, de’ non comuni talenti de’ quali vi è stata prodiga la natura, e delle lodevoli (benché talvolta eccessive) applicazioni con le quali voi li avete tanto e così sollecitamente arricchiti: ma se per non farvi dubitare di questa verità esigete lunghe lettere, et esatta e scrupolosa corrispondenza nel commercio epistolare, voi dimandate che voli chi non ha ali per farlo. Il mestiere di scrivere per me è divenuto pesante, e poche ore del giorno vi possono essere da me impiegate: quindi è che quando mi sopraggiunge qualche indispensabile lavoro, le assorbisce tutte: e conviene allora che le convenienze cedano al mio debito preciso. Non vi paia strano ciò ch’io vi dico misurando le mie dalle vostre forze, perché corre una considerabile differenza fra noi. Voi siete nella primavera, io nell’inverno della mia vita: voi non avete altri doveri se non quelli che il vostro genio vi prescrive: io ne ho degl’indispensabili e gravi: voi avete una tenue salute, ma tale che vi permette d’abusarne come fate bene spesso: ma la mia non è così compiacente, e se voglio attentar sopra i suoi dritti mi toglie affatto la facoltà di farlo. Sicché mio caro signor Rovatti, non dovete stupire se io non posso far tutto quello che potete far voi: e come buon amico dovete più tosto compatirmi che accusarmi, e non contar mai fra le mie mancanze i miei guai. Se non abbiamo una scambievole toleranza l’un per l’altro, è distrutta la società, poiché vitiis sine nemo nascitur: optimus ille est qui minimis urgetur#2.
Addio mio caro signor Rovatti: continuate ad amarmi tal quale io sono per i miei peccati: e non fate mai il sacrilegio di dubitar s’io sono
Il Vostro Pietro Metastasio
L’epistola in versi di cui parla M. non si è conservata.
Amico Carissimo ] All’Illustrissimo Signor Rovatti / Da Vienna a Modena / 13 novembre 1769