Vienna 22. del 770

Amico Dilettissimo

Veramente la data della gratissima vostra mio caro signor Rovatti scritta dalla villa nel furore d’un così ispido inverno ha dritto di sorprendermi; et ho bisogno per non tremare pensandoci, di correggere la mia fantasia con le riflessioni sulla vostra gioventù, sulla dolcezza del temperato clima italiano, e su quell’ardente desiderio di sapere che vi riscalderebbe anche nella patria degli orsi bianchi. Mi piace per altro la vostra predilezione per cotesta specie di studio, che vi obbliga ad abbandonare assai spesso il tavolino poco confacente alla delicata vostra costituzione: e che mentre piacevolmente vi trattiene ad investigar negl’insetti le segrete tracce della natura, arricchisce voi di pellegrine cognizioni, promette nuove utili scoperte alla letteraria repubblica e chiarezza al vostro nome. Continuate dunque valorosamente a secondare il vostro filosofico istinto, et io vi sono mallevadore della pubblica approvazione.
          Con quella libertà paterna che il vostro, e l’amor mio mi autorizza ad usar con esso voi, io vi consiglio mio caro signor Rovatti a deporre affatto il pensiero di scriver la vita del nostro fu signor Giuseppe Riva. Io ho avuto ragioni di stimarlo, et amarlo più di voi: nella mia lunga consuetudine con lui ne ho conosciuto il pronto e vivace ingegno, la decente supellettile letteraria, e la festiva felicità che avrebbe potuto facilmente renderlo celebre scrittore se avesse avuta l’occasione d’esercitarla: ma nel corso della non lunga sua vita#1 a me perfettamente nota, non per sua, ma per colpa d’un concorso d’accidenti che l’hanno distratto, egli non ha né scritto né operato cosa di cui possa la notizia recar meraviglia, utile, o diletto a’ lettori. Onde la vostra cura avrebbe più apparenza d’amor proprio che di condescendenza per la pubblica curiosità. Rispetto poi all’idea di stampar le mie lettere a lui scritte, scacciatela mio caro signor Rovatti come una peccaminosa tentazione del demonio. Voi non potreste farmi dispiacere più sensibile. Lettere confidenti, scritte senza la minima riflessione, per lo più non rilette e piene di sensi de’ quali l’intelligenza dipende dalla notizia di cose solo sapute dai corrispondenti, come mai presentarle al pubblico#2! Oh che Dio vi perdoni un così strano pensiero#3.
          Addio; già questa lettera comincia ad esser troppo lunga per la mia testa, alla quale il freddo presente, e la minima fissazione risveglia uno stiramento di nervi che mi fa rinegar l’inventore della scrittura. Continuate ad amarmi e non fate mai il sacrilegio di dubitare un istante della tenera corrispondenza del vostro 

Pietro Metastasio

 

Riva, nato nel 1682, era morto nel 1739. 

Già M., del resto, aveva parlato di «qualche scherzo metaforico, responsivo ad alcun altro di quelli de’ quali abbondava il mio povero signor Giuseppe Riva» (a Giuseppe Rovatti, 15 settembre 1766) a proposito della domanda da parte di Rovatti (a Pietro Metastasio, 9 luglio 1766) sul significato degli «argomenti refrigeranti lasciatici dalla felice memoria del Cardinale de’ Medici menzionato più di trent’anni prima in una lettera del poeta a Riva (a Giuseppe Riva, 25 luglio 1732).

Riguardo alle reali intenzioni di M. per il suo epistolario si veda Lanzola – Beltrami, «Leggete a chi vi piace, ma non date ad alcuno copia delle mie lettere», pp. 68-70.

 

Amico dilettissimo ] Signor Giuseppe Rovatti / Da Vienna a Modena 22 del 1770 B