Vienna primo aprile 771

Amico Carissimo

L’obbligente amichevole confidenza che mi dimostra nell’ultimo affettuoso suo foglio il mio carissimo signor Rovatti, esige da me il contraccambio d’una corrispondente sincerità: et eccola quale la mia stima, e la mia tenerezza la suggerisce. Che voi desideriate i mezzi necessari a’ vostri studi prediletti; è naturale e lodevole: ma che pensiate che possa somministrarveli la povera poesia, che sempre è stata l’indivisibile compagna dell’indigenza è un’idea platonica, che non intendo come possa esservi caduta in mente. Nella mia risposta alla prima lettera di cui mi onoraste dimandandomi consiglio, se dovevate secondare il vostro genio poetico#1, io mi ricordo di avervi scritto che potevate farlo trovandovi in situazione di non aver bisogno de’ favori della Fortuna#2, et in disposizione d’animo di cambiar volontieri con una incerta corona d’edera, o d’alloro, tutte le speranze d’elevazione alle quali vi autorizzano i vostri distinti talenti. Questo mio parere diceva abbastanza che bisogna prendere altro cammino di quello del Parnaso, per trovar le miniere del Potosì#3. Quello che voi mi accennate di voler prendere non conduce a miniera alcuna: e quel misero lucro al quale per quella strada si anela vi sarà contrastato da un esercito di mendici rivali, che avranno maggior dritto di voi ad aspirarvi, soffrendo quella fame che voi non soffrite. È una specie d’ingratitudine verso la benefica Providenza che vi ha fatto nascere in situazione di non esser violentato dalla tirannia del bisogno, il voler ricorrere senza necessità a quei miseri espedienti che il bisogno solo suggerisce e giustifica#4. Aggiungete a tutto questo che la poesia drammatica è un mare infame per innumerabili naufragi: e non basta l’invecchiata esperienza del più accorto piloto per correrlo senza rischio. Gradite il candore d’un amico che vi parla col cuor sulle labbra, e credete a chi son già molte olimpiadi che si trova immerso fra le dolorose vicende di quella umana peregrinazione, nella quale voi novizio ancora, incominciate ad inoltrarvi.
          Fate un gran torto, amatissimo mio signor Rovatti, all’Orfeo credendomene l’autore. Non vi lasciate, vi prego, allucinar quindi innanzi dall’amicizia sino al segno di attribuirmi produzioni tanto superiori alla mia abilità#5.
          Quello che ardentemente io desidero si è che la vostra filosofia vi ponga in istato di saper mettere in calma l’animo vostro, e di soffrir con più rassegnazione le renitenze dei vostri maggiori, che defraudati de’ vantaggi che avrebbero potuto produrre alla famiglia i rari vostri talenti diversamente impiegati; non sanno accomodarsi al vederli divenir dispendiosi. Addio mio caro signor Rovatti. Il rischio al quale io mi espongo di dispiacervi per togliervi un inganno che vi tormenta è prova del vero, e tenero affetto col quale io sono e sarò sempre 

Il Vostro Costantissimo
Pietro Metastasio

A Pietro Metastasio, 23 aprile 1769, quando Rovatti aveva chiesto a Metastasio l’intercessione per procurargli «un mecenate». 

A Giuseppe Rovatti, 8 maggio 1769. 

Potosì, in Bolivia, fu la città mineraria sudamericana per antonomasia, grazie alla presenza dei suoi ricchissimi giacimenti d’argento.

Nel dissaudere Rovatti dal tentare di scrivere un dramma sperando di ricavarvi un guadagno cospicuo, M. fa ancora trapelare l’irritazione verso il giovane che non soffre la fame ma si lamenta della sua situazione economica, come nella lettera dell’8 maggio 1769, quando aveva scritto «[...] ora mi date occasione di credervi poco grato alla, verso di voi specialmente, benefica Providenza. Facendovi ella nascere fra le opulenze domestiche, vi ha liberato dal pericolo di qualunque avvilimento al quale avesse potuto costringervi la necessità di procurar sussistenza: e voi quasi contando per nulla un così invidiabile stato, ambite la misera sorte di quegl’infelici che per sostenersi in vita sono obbligati a mendicar soccorsi dai superbi, ignoranti e per lo più malvagi figli della fortuna che voi chiamate mecenati». Da notare che anche Spallanzani si ritrova, il 28 luglio del 1771, a chiedere un prestito a Rovatti, dimostrando che la sua famiglia non era in ristrettezze economiche: «Anzi in questa occasione dovendo per necessità fare un viaggetto a Bologna, voleva pregarvi di qualche soldo; se non aveste che un zecchino da darmi, lo prenderei. Via fatemi questo piacere; lo potere avere da vostro signor padre, o da altri di vostra casa» (a Giuseppe Rovatti, 28 luglio 1771; in Spallanzani, Carteggio, p. 165). 

I giudizi sull’Orfeo ed Euridice di Calzabigi e Gluck, e più in genere su Calzabigi, sono praticamente assenti nell’epistolario; ma si vedano le riflessioni sulla lettera inedita a Marco Coltellini riportata in Lucio Tufano, Vienna 1763: Calzabigi, Coltellini e Ifigenia in una lettera inedita di Pietro Metastasio, passim, e in Id., Calzabigi e Metastasio: Napoli, Parigi, Vienna e ritorno, pp. 81-83.