Vienna 17 agosto 772

Amico Dilettissimo

Avendo io ier l’altro mandato alla dogana, per riscuoterne un libro che mi viene in dono da un letterato napolitano#1; in vece del medesimo, non ancora assoluto dalla censura, mi vidi con somma mia mortificazione recare innanzi quattro esemplari della vostra lettera a me diretta sopra il poema di Dante: i quali da me inutilmente più d’una volta richiesti sono rimasti, chi sa mai in qual canto, nascosti e dimenticati, senza che più mi rimanesse speranza di rinvenirli. Sa il Cielo mio carissimo signor Rovatti quali ipocondrici raziocinii avrete intanto voi fatti sul mio silenzio a svantaggio del tenero amor mio, e forse di voi medesimo. Ma queste sono le strane, e qui non rare vicende alle quali soggiacciono i trasporti di checchessia che ci vengono d’Italia: e specialmente di libri, ai quali la religiosa e prudente cura della adorabile nostra sovrana di non ammetterne dei dannosi#2, differisce considerabilmente l’ingresso: non credo per trascuranza, ma per fisica insufficienza di quelli a’ quali è addossata la laboriosa commissione di esaminarli. In somma a dispetto della fortuna la vostra lettera mi è finalmente capitata. L’ho attentamente letta, e considerata e ne ho trovato lo stile nobile, robusto e poetico, i sentimenti tutti d’accordo con la più sana filosofica, e cristiana morale: le imagini frequenti, non comuni, e vigorosamente colorite: ed in tutto il componimento è visibile non meno la vostra dottrina che l’ottimo costume dello scrittore. Né crediate che in questo giudizio abbia parte alcuna la seduzione della parzial maniera con la quale nel detto libro voi parlate di me, non ne’ versi solo, ma nella prosa ancora della detta e festiva dedicatoria al signor marchese Fontanelli#3: alla serena vivacità della quale vorrei pure che corrispondesse per mia consolazione il tenore dello stato presente dell’animo vostro, che nelle ultime vostre lettere comparisce con mio sommo dolore torbido senza motivo, e fuor di misura oppresso e sconvolto. Abbiate caro amico, abbiate pietà di voi medesimo: non secondate la propensione fisica alle idee malinconiche: rompetene il corso con distrazioni efficaci a dispetto delle interne repugnanze che incontrerete nel farlo. Io non son consigliere inesperto: son molti anni che combatto anch’io con gl’istessi nemici#4: e se non giungo a debellarli, evito che mi opprimano. Addio amatissimo signor Rovatti. Continuatemi il vostro affetto, e credete ch’io non lascerò mai d’essere

Il Vostro Devotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio

Si tratta del quarto volume dei Salmi nella traduzione poetica di Saverio Mattei (pubblicati in tre volumi nell’edizione del 1766-1768, poi portati a sei nell’edizione 1774 e otto in quella del 1779). M. parla della difficoltà nel riceverli allo stesso Mattei nella lettera del 7 settembre 1772: «Con avidità, attenzione, diletto e profitto ho tutto trascorso, dal frontespizio sino alla savia ed erudita lettera da V. S. illustrissima scritta al signor abate Sparziani, il quarto tomo dell’ammirabile sua versione de’ salmi, di cui ha voluto cortesemente fornirmi, e mi trovo largamente ricompensato della lunga impazienza che mi ha tormentato nell’aspettarne l’arrivo» (Lettere, V, p. 280).

Maria Teresa aveva sottratto alla Chiesa i compiti relativi alla censura pubblica, che riguardava tutte le opere teologiche, tra cui appunto rientrava la traduzione dei Salmi biblici del Mattei.

Il marchese Antonio Fontanelli fu il dedicatario (e M. il destinatario) dell’epistola rovattiana su Dante.

Della «naturale propensione dell’animo mio alle idee malinconiche» M. aveva parlato nella lettera ad Antonio Tolomeo Trivulzio del 2 gennaio 1751 (Lettere, III, p. 609).