Vienna 8 8bre 772.

Amico Carissimo

La carissima vostra del 22 dello scorso settembre mi ha come tutte le precedenti sommamente consolato, recandomi novelle d’un amico ch’io stimo, et amo quanto egli merita per il suo candido costume, per i suoi colti talenti, e per le amabili qualità del suo cuore; ma mi ha nel tempo istesso più delle precedenti turbato scorgendosi chiaramente in essa quali progressi vada in voi facendo mio caro signor Rovatti quella peste ipocondriaca che si va ormai rendendo tiranna e dispotica dell’animo vostro. Ah per carità di voi medesimo, amico dilettissimo, non l’andate accarezzando. Io m’avveggo che siete giunto al funesto sintomo di compiacervi della sua compagnia, e di allettarla con le ingegnose immagini delle quali la vostra mente è feconda. Ed essa in contraccambio vi somministra paradossi che v’inducono a dedurne conseguenze disperate, indegne della vostra ragione, et ingrate alla benefica Onnipotenza che vi ha distinto con tanti doni e d’ingegno, e di fortuna. Voltate gli occhi indietro mio caro amico, e considerate quanti milioni di persone sono in istato d’invidiare il vostro: e poi ditemi se non è degno di rimproveri il desiderio di cambiarlo. Consento che non vi mancheranno nello stato in cui siete circostanze rincrescevoli, et amare, ma in quale stato non ve ne sono? Credete come un evangelo quell’antico popolare assioma che se vi fosse un mercato di guai, ogn’uno che v’andasse per far cambio con altri di quelli che soffre, se ne ritornerebbe volentieri a casa co’ suoi. Voi conoscete benissimo queste verità, ma gli accessi dell’infermità superano le forze del raziocinio. Io son medico ché sono stato infermo, né posso vantarmi d’esser perfettamente risanato. Di tratto in tratto mi conviene ancora combattere con gl’improvvisi assalti di questa maledetta ipocondria: onde credete ai miei consigli. Difendetevi, non fidandovi di voi medesimo: e già che avete ancora la facoltà di dissimulare il vostro dolore, mettetevi in necessità di farlo cercando la compagnia di persone che v’impongano rispetto e vi obblighino così a pensare a ciò che ascoltate ed a quello che dovete rispondere. Dopo qualche tempo di questa per voi violenta operazione, esperimenterete che si rompe il filo nelle nere idee che v’ingombravano e che avrete riacquistata la facoltà di pensare a seconda della vostra ragione non offuscata dai vapori dell’atra bile#1. Pensateci caro signor Rovatti, pensateci seriamente. Si tratta di molto più che non credete, e voi avete armi ancora per difendervi. Compagnia, distrazioni, varietà d’oggetti e fuga dal maggiore de’ vostri pericoli di trovarvi da solo a solo con voi medesimo, particolarmente quando vi sentite più violentemente assalito e quando più vi piace la solitudine che alimenta le vostre afflizioni. Addio. La materia è contagiosa. Io sento che parlando della vostra si risveglia la mia ipocondria: onde, perché non diventi nociva ad entrambi, finisco questa lettera teneramente abbracciandovi, e confermandovi ch’io sarò sempre

Il Vostro Costantissimo
Pietro Metastasio

La bile nera, tradizionale causa dell’umor malinconico.