Vienna 4. 8bre 775.

Amico Carissimo

Avrebbe bastato una lettera scritta di vostra mano, carissimo signor Rovatti, per mettere in moto tutta la mia tenerezza per voi: or pensate quale sia stata l’efficacia di quella che ricevo da quest’ordinario, ridondando essa di amorose espressioni che mi fanno conoscere ad evidenza quali siano a mio riguardo le costanti disposizioni del vostro bel cuore, in cui, conto per mia invidiabil fortuna il trovarmi così vantaggiosamente alloggiato. Fortuna ben poco comune, perché poco comunemente si ritrova altrove la grata, generosa, e candida sensibilità del vostro.
          Io sempre vi ho paternamente amato ed ammirato le rare qualità de’ vostri talenti, e ritrovo sempre di giorno in giorno in voi ragioni di alimentare, e di accrescere l’amor mio. La maturità del giudizio, che chiaramente si palesa in questa ultima vostra lettera, mi assicura che impiegate da così saggio maestro le facoltà delle quali la Natura vi ha parzialmente fornito e che l’indefessa applicazione ha di così preziose merci arricchite, dovran produrre necessariamente opere utili non men che gloriose. Già mi piace moltissimo la nuova vostra propensione allo studio botanico, perché essendo esso così analogo a quello degl’insetti, non vi fa uscir di cammino, anzi seconda quello già da voi da lungo tempo intrapreso, in cui tanto già vi trovate lodevolmente inoltrato.
          Questa non facile costanza, è necessaria alle grandi imprese, e come altre volte credo d’avervi detto fastidientis stomachi est plura degustare#1. Continuate così, et io vi entro mallevadore di una distinta graduazione nella repubblica delle lettere. Addio mio amatissimo Rovatti. Non vi sollecito ad amarmi perché non mi crediate ingrato alle tante prove che vi compiacete di darmi d’averlo sempre fatto, e di farlo sempre, verità che dalle mie nuove istanze parrebbe revocata in dubbio: ma vi assicuro in vece che voi ne siete da me ampiamente contraccambiato, e ch’io sarò eternamente

Il Vostro
Pietro Metastasio

La massima di Seneca («Fastidientis stomachi est multa degustare; quae ubi varia sunt et diversa, inquinant non alunt», Sen. epist. 2, 4; ma nel Commentarium di Pietro Alighieri la forma riportata è «Fastidientis stomaci est stincte comedimus et bibimus, ut plura degustare»; cfr. Il «Commentarium» di Pietro Alighieri, a cura di Roberto Della Vedova e Maria Teresa Silvotti, Firenze, Olschki, 1978, p. 126) è usata più volte da M. nell’epistolario. Si vedano le lettere a Leopoldo Trapassi del 2 febbraio 1737 (Lettere, III, p. 148) e a Francesco Algarotti, 16 settembre 1747 (Lettere, III, p. 325).