Vienna, 13 febbraio 1760

Illustrissimo Signore Signore e Padron Colendissimo 

Non ho trascurato per negligenza di rispondere all’ultimo gentilissimo foglio di vostra signoria illustrissima; ma le rare occasioni di ritrovarmi io con gli abitanti del vortice luminoso, mi hanno obbligato a differir questo mio dovere sino ad aver sodisfatto all’altro di ubbidirla appresso il nostro degnissimo signor conte di Kevinüller#1. Ho trovato che avea già egli risposto a vostra signoria illustrissima, onde sapendo ella i di lui sentimenti originalmente, non mi resta su tal proposito se non se assicurarla che questo amabilissimo cavaliere parla di lei con espressioni di stima e di parzialità, che provano ad evidenza il distinto pregio in cui egli tiene i colti di lei talenti e le tante altre invidiabili qualità che l’adornano: contegno, per mio avviso, che onora moltissimo non meno il bel cuore, che l’esquisito di lui giudizio#2.
          Pare dalla sua lettera ch’ella non approvi il sistema di vita ch’io amo et ho creduto necessario d’eleggere. Prima di deciderne perentoriamente incominci vostra signoria illustrissima a considerare ch’ella è costì nella platea del teatro in cui io mi trovo, e che la sua situazione la defrauda della vista di tutto ciò che succede sul palco e dietro le scene; onde che non può molto fidarsi della solidità di quei raziocini che han per fondamento un’illusione. Dopo di ciò metta in conto che il mio genio naturale, quanto mi ha dall’infanzia portato alla scelta e ristretta società, tanto mi ha reso all’incontro rincrescevole et intolerabile lo strepito, il disordine et il tumulto, nemico capitale delle Muse, fra le quali ho dovuto passare i miei giorni. Aggiunga a tutto questo che da’ primi anni ch’io mi traspiantai in questo terreno fui convinto che la nostra poesia non vi alligna se non se quanto la musica la condisce, o la rappresentazione l’interpreta; onde tutte le imagini pellegrine, le scelte espressioni, l’eleganza dell’elocuzione, l’incanto dell’interna armonia de’ nostri versi, e qualunque lirica bellezza è qui comunemente sconosciuta, e per conseguenza non apprezzata, se non che su la fede de’ giudici stranieri#3. Quindi potrà vostra signoria illustrissima avere osservato che in trent’anni ormai di soggiorno non interrotto in questo paese, io ho lasciato passare tutte le molte occorse strepitose occasioni, senza scriver mai né pure un verso lirico sopra di esse, toltone un unico sonetto su la prima vittoria del maresciallo Daun, che non potei ricusare senza villania ad un espresso e capriccioso comando, di chi credea obbligarmi con tal commissione#4. Il motivo di poter essere utile a’ miei simili sarebbe il più violento per farmi cambiar sistema; ma non creda vostra signoria illustrissima che il diventare stromento efficace sia così agevole operazione. Io ignoro la maggior parte degl’ingredienti di questa ricetta, et abborrisco l’altra; onde se non mi è riuscito di giovare altrui con le mie ciance canore, io temo che uscirò dal mondo senza aver adempito questo primo debito di chi nasce. Me ne consoli ella intanto con la continuazione della sua benevola padronanza, e mi creda sempre con rispetto, eguale alla stima

Vienna 13 febbraio 1760

Di Vostra Signoria Illustrissima 
Divotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio

 

Johann Joseph von Kevenhüller (1706-1776), dal 1742 Maggiordomo maggiore di corte, dal 1763 «principe dell’Impero» (con aggiunta del cognome Metsch). Ha lasciato un diario della sua vita (Aus der Zeit Maria Theresias, Tagebuch des Fürsten Johann Josef Khevenhüller-Metsch, kaiserlichen Obersthofmeisters, 1742-1776, Wien, Adolf Holzhausen, 1907-1917). Ebbe un rapporto stretto con Florio, che a lui si rivolgeva, in genere con la mediazione del M., per far giungere i suoi versi a Maria Teresa e agli altri membri della famiglia imperiale (cfr. la lettera di Florio a Metastasio in data 4 novembre 1757).

Florio per il tramite del M. aveva mandato al Conte un suo sonetto (forse quello corretto della lett. del 29 settembre 1759?).

La ‘sordità’ della società viennese alla poesia, e in particolare a quella italiana, apprezzata solo da pochi scelti inten-denti torna, come detto, nel carteggio con Florio, e non solo: cfr. lett. del 22 ottobre 1757 di M.

Si riferisce al son. «Oh qual, Teresa, al suo splendor natio»; su cui cfr. lett. a Tommaso Filipponi, 30 giugno 1757: «Ecco il Sogno copiato correttamente per uso di cotesta ristampa; ed ecco un sonetto per l’ultima vittoria, che serve di contravveleno alla maligna pietà di coloro che vorrebbero attribuirla a miracolo per iscemarne la gloria a quelli che l’han meritata». Su quest’unica occasione (insieme all’azione teatrale Il sogno) in cui M. s’impegnò a sostegno della corona imperiale, cfr. a Daniele Florio, 20 agosto 1757.

 

ultimo] ultimo suo C
di Vostra Signoria Illustrissima] om. C
di ubbidirla] d’ubbidirla B C
Kevinüller] Kevenüller B C
approvi] approvi B
mi traspiantai in questo terreno] trasportato mi sono in questo teatro C
imagini] immaggini C
Maresciallo] Marescial C
di chi credea] chi sprl A
essere] esser C
et abborrisco l’altra] canc. B et abborisco l’altra C
mi è] m’è C
di chi] che mi C
Di Vostra … Metastasio] etc. B