Vienna, 20 agosto 1760

Illustrissimo Signore Signore Padron Colendissimo 

Sull’espettazione del nostro signore abate Freddi#1, ho differita due settimane la risposta all’umanissimo foglio di vostra signoria illustrissima del 20 dello scorso luglio#2; ma non vedendolo ancora comparire, né potendo io imaginare se la dilazione#3 nasca dal commitente, o dal commissario, non ho voluto frattanto espormi più lungamente all’apparente mancanza di trascurato; onde mentre vado ingannando con la speranza l’impazienza di leggere et ammirare il nuovo suo poemetto#4 (che sarà senza fallo degno di lei), le rendo vivissime grazie della giustizia ch’ella rende alla molta e sincera parte ch’io prendo e nella sua e nella gloria del nostro Parnaso, che vanno così strettamente congiunte. Anzi su questo proposito ho voluto mille volte animarla ad intraprendere il lavoro d’un poema eroico#5, non conoscendo io fra’ presenti nostri poeti alcun altro che abbia fiato sufficiente per animar la tromba epica, e sfidar le più celebri e strepitose. Scuota vostra signoria illustrissima una volta cotesta sua eccessiva modestia, e tenti mari più vasti: io le sono mallevadore di nuove gloriose scoperte, e delle ricche e pellegrine merci delle quali ritornerà carica dal suo viaggio.
          Farei mille imprecazioni contro gli ostacoli che trattengono la sua venuta#6, se fossero meno sacri e ragionevoli. Il piacere inesplicabile d’abbracciarla sarebbe troppo pagato con la taccia che contrarrebbe il suo bell’animo nell’abbandono d’una così degna compagna#7. Io mi auguro questa sorte, non amareggiata da circostanze che possano adombrare nell’animo mio la limpidissima idea che vi ho formata dell’amabile suo carattere. 
          Non può vostra signoria illustrissima dubitare che gl’Italiani alquanto illuminati che qui#8 si ritrovano non siano suoi parziali et ammiratori: ma, oh Dio, che miserabil numero! Non so di quanto trascenda quello delle Grazie, ma son sicuro che non giunge a quello delle Muse. 
          La prego a continuarmi il prezioso dono della sua benevola parzialità, et a credermi con costanza eguale al rispetto

Vienna 20 agosto 1760 

Di Vostra Signoria Illustrissima 
Divotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico
Pietro Metastasio

Biagio Freddi era nipote di Teresa Morassi, sorella di Giovanni Giacomo Marinoni, da cui fu assunto come segretario (a Florio, 6 maggio 1752, comunicava la decisione di accoglierlo presso di sé) e quindi nominato suo erede. Freddi compare in diverse lettere di Marinoni, che costituiscono uno dei segmenti più cospicui dell’epistolario di Daniele Florio. Sarà Freddi a comunicare a quest’ultimo (da Vienna, 11 gennaio 1755) la morte del Marinoni (Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II, 181.4). Dopodiché, Freddi dovette subentrare come punto di riferimento di Florio nei soggiorni viennesi; cfr. lett. di Daniele al fratello Francesco, da Vienna, 7 settembre 1771 (Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II, 181.4): «partito domenica passata da Gorizia all’ore 22, sono solamente arrivato in quest’oggi in questa Imperiale città due ore dopo il mezzo giorno, ove graziosamente sono stato accolto nel solito albergo dal mio cordialissimo Ospite ed Amico il Signor Abate Freddi». Giovanni Giacomo Marinoni (1676-1755) è un nome importante nella storia della scienza e della cultura. A Vienna era matematico cesareo, cartografo e direttore dell’Accademia di ingegneria militare; dal 1726, nobile del Sacro Romano Impero e dal 1728 aggregato all’ordine nobile di Udine. Florio gli dedicò alcuni versi nell’occasione della pubblicazione del De astronomica specula domestica et organico apparatu astronomico libri duo, Vienna: Leopoldus Joannes Kaliwoda, 1745, relativi all’osservatorio astronomico da lui fondato a Vienna (All'illustrissimo signor Giacomo Marinoni patrizio udinese consigliere e mattematico cesareo e degl'incliti Stati dell'Austria inferiore ascritto all'Accademie delle Scienze di Bologna e di Napoli in occasione del libro da lui dato nuovamente alla luce sopra il suo domestico osservatorio e gli strumenti astronomici sonetto di Nivisco Lesio pastore arcade, Udine, Giambattista Fongarino, 1746). Su di lui cfr. Anna Giulia Cavagna, I libri di Giovanni Giacomo Marinoni, in Gli spazi del libro nell'Europa del XVIII secolo, a cura di Maria Gioia Tavoni e Françoise Waquet, Bologna, Pàtron 1997, pp. 129-152, e la voce di Liliana Cargnelutti in Nuovo Liruti, a cura di Cesare Scalon, Claudio Griggio e Ugo Rozzo, II. L’età veneta, Udine, Forum Editrice, 2009, pp.1603-1611. Freddi aveva fatto da tramite del poemetto per le nozze di Giuseppe II con M., che a sua volta l’avrebbe trasmesso al Kevenhüller (lettera di Florio del 20 luglio 1760): «Fra tanto sull’incertezza che io possa portarmi in queste parti, spedisco il manuscritto all’Abate Freddi mio corrispondente, acciò che lo faccia leggere a Vostra Signoria Illustrissima ed esaminare dal di Lei finissimo discernimento. Se a lei sembrerà, che io abbia colpito nel segno, e che l’opera possa farsi qualche credito, la supplico ad interporre la sua valida mediazione presso Sua Eccellenza il gran Ciambellano, accioché egli mi faccia l’onore di presentare questo mio Poemetto alle Loro Maestà, all’Arciduca, ed all’infanta di Parma, la quale come nata in Italia, potrà comprendere e gustare la Poesia italiana». In Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II, 192.1 si conserva anche la minuta della richiesta al Kevenhüller perché trasmetta il poemetto agli sposi, previo il suo giudizio favorevole (cfr. minuta al conte di Kevenhüller).

Cfr. lett. del 20 luglio 1760 di Florio.

La consegna a M. del poemetto era avvenuta con qualche ritardo («l’espettazione»), come ben si evince anche dalla risposta di Florio, in data 7 settembre 1760: in cui l’autore non sa spiegarsi la «misteriosa dilazione» dell’abate Freddi; e quindi lo rispedisce al M., rinnovando la richiesta di trasmetterlo al Kevenhüller perché lo faccia avere ai due sposi; per la spesa della stampa, «la quale converrà che sia magnifica, non che decente», M. sarebbe puntualmente rimborsato; e se per le sue presenti occupazioni «non potesse attendere ad una impressione corretta», potrebbe servirsi dell’aiuto del Freddi.

Cfr. Lett. di Florio a M. del 20 luglio 1760 (Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II 192.1): «Benché i di Lei drammi meravigliosi possono giustificare abbastanza la nostra lingua dalle ingiuste critiche degli Oltramontani, non ostante pur io ho animata la mia Musa a lavorare due canti in ottava rima nell’occasione delle splendidissime nozze dell’Arciduca Giuseppe non solamente così per zelo del buon nome italiano, ma come per dare un nuovo attestato della mia ossequiosa venerazione alla Augustissima Imperatrice Regina».

Florio intraprese in effetti, dietro lo stimolo di M., la composizione di un poema eroico in ottave, Tito, ossia la Gerusalemme distrutta, ispirato alla narrazione di Flavio Giuseppe, di cui completò solo tre canti: i primi due (pubblicati postumi da Quirico Viviani: Tito, ossia Gerusalemme distrutta. Poema epico inedito del Conte Daniele Florio Udinese, Venezia, Alvisopoli, 1819) e parte del quarto (anch’essa edita postuma dal Viviani: La Celebrazione della Pasqua, episodio inedito del Tito, ossia della Gerusalemme distrutta, Udine, Mattiuzzi, 1823).

I problemi di salute della moglie, colpita dal vaiolo (su cui cfr. lett. di Daniele all’abate Antonio Conti, Udine, Archivio di Stato, Archivio Florio, II, cc. 136r-137r: «La mia umile Musa, che con piede inesperto non ardisce salire si prende il corraggio di far leggere a Vostra Eccellenza questa elegia, in cui ella s’è ingegnato d’esprimere que’ veri e tenere affetti di doglia e d’allegrezza, che ha eccitati nel[l]’anima mia un pericoloso vaiolo e l’insperato risanamento della Co<n>sorte»); poi superati, dal momento che il Florio si recò successivamente a Vienna (cfr. lett. di M. alla Contessa Florio, del 24 ottobre 1760).

La moglie del Florio, Vittoria di Valvason-Maniago Arcoluniani (†1763), discendente di Erasmo Valvason, figlia di Lucia di Valvasone Arcoloniani già dama di corte della granduchessa Violante di Toscana.

qui: a Vienna.

 

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vedendolo] vedendo\lo/ B C
Di Vostra … Metastasio] omette B