Vienna, 27 febbraio 1762

Illustrissimo Signore Signore Padron Colendissimo 

Dal degnissimo padre don Salvator Riva#1 insieme con l’umanissimo foglio di vostra signoria illustrissima mi sono stati consegnati alcuni esemplari della bellissima canzone pindarica da lei ultimamente scritta#2. La mia gratitudine per così caro e prezioso dono, e per l’occasione che mi somministra di una così stimabile conoscenza, doveva esserle più sollecitamente attestata da una mia più pronta risposta; ma avendomi le sue grazie trovato in parto d’un dramma che un sovrano comando mi ha obbligato a produrre#3, non ho trovato fra le inevitabili faccende materne il momento d’esser seco, fino al dì presente. Mi congratulo dunque ora seco della nuova sua viva, dotta e leggiadra produzione, tutta degnissima di lei: ma a patto che coteste sue corse accidentali non la distraggano dal grande intrapreso viaggio#4, al quale io non desisterò mai di stimolarla, per aver qualche parte di merito nel nuovo ornamento ch’ella promette al Parnaso italiano. Ho fatto parte et in casa Figuerola#5, et al signor conte di Canale#6, et ad altri idonei giudici, della bell’ode di vostra signoria illustrissima. Tutti ne sono incantati, et io ho il piacere di veder confermato solennemente il mio giudizio. Le minute relazioni che a forza d’importunarla io mi son procurate dal nostro padre Riva intorno alle adorabili qualità della valorosissima dama sua consorte#7, mi fanno insuperbire della giusta proporzione in cui, a riguardo di lei, si trovava già il mio rispetto. La supplico di fargliele presente, non meno che al veneratissimo signor Primicerio suo fratello#8, et a se stessa: permettendomi ch’io continui a protestarmi

Vienna 27 febbraio 1762

Di Vostra Signoria Illustrissima
Divotissimo Obbligatissimo Servitore et Amico Vero
Pietro Metastasio
 

Salvatore Riva, dei Chierici Regolari della Congregazione di S. Paolo, rettore del collegio barnabitico di Udine dal 1751 al 1763. Fecondo drammaturgo, autore di un Parnaso filosofico e di varie rappresentazioni sceniche per i convittori del Collegio udinese (Davide perseguitato, 1749; Gli Orti Esperidi, 1757; Idomeneo, 1758; I pastori eroi, 1759; Dione siracusano, 1760). Su di lui cfr. p. Giuseppe Boffito, Scrittori Barnabiti o della Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo (1533-1933). Biografia, bibliografia, iconografia, III, Firenze, Olschki, 1934, pp. 278-283. 

Si trattava di una canzone (un’ode) già stampata.

Si riferisce a Il trionfo di Clelia, rappresentato nella corte cesarea la prima volta con musica di Johann Hasse, in occasione del parto dell’arciduchessa Isabella di Borbone, sposa dell’arciduca Giuseppe.

Il poema epico Tito, o sia Gerusalemme distrutta, intrapreso dietro le ripetute sollecitazioni di M. di volgersi al genere eroico (vd. precedenti lettere a Florio). Il poema non progredì oltre il canto IV.

La famiglia, di origine spagnola, faceva capo al conte Raimondo, membro del Supremo Consiglio di Fiandra; la contessa Francesca e la figlia erano amiche di M.

Luigi Malabaila di Canale (1704-1773), ambasciatore sabaudo a Vienna; sul suo rapporto con M., all’insegna della comune predilezione per il mondo classico – tradussero insieme Giovenale e l’Ars poetica di Orazio -, cfr. Ada Ruata, Luigi Malabaila di Canale, Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 1968; Rossana Caira Lumetti, Gli italiani a Vienna all’epoca di Metastasio, in La tradizione classica nelle arti del XVIII secolo e la fortuna di Metastasio a Vienna, Atti del Convegno internazionale di studi Österreichische Nationalbibliothek, Wien 17-20 maggio 2002, a cura di Mario Valente e Erika Kanduth, Roma, Artemide Edizioni, 2003, pp. 239-260: 251-254; e Alberto Beniscelli, Il poeta e il diplomatico, in Id., «I più sensibili effetti». Percorsi attraverso il Settecento letterario, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2022., pp. 261-281.

Vittoria di Valvason-Maniago Arcoluniani (†1763), discendente di Erasmo Valvason, figlia di Lucia di Valvasone Arcoloniani già dama di corte della granduchessa Violante di Toscana. Francesco Florio, nel suo Elogio del fratello (Udine, Girolamo Murero, 1790, p. XIX), ne tratteggiava questo ritratto: «La saggia Donna oltre che era assai pia, era anche dotata di felicissimo ingegno. La sua memoria era prodigiosa, e col discorso distingueva l’epoche dell’antiche Monarchie come sono descritte nella storia antica del Rollin. Sapea la storia di Francia del Padre Daniele, quella dell'Impero Germanico; e in specie quella della pace di Vestfalia scritta dal celebre Gesuita Bougeant, per tacer di altri autori, che leggeva o sola, o col marito». In Udine, Biblioteca civica “Vincenzo Joppi”, nel ms. 875.18 del Fondo Principale si conservano, contiene, della figlia Lavinia, le Memorie di Vittoria Florio nata Valvasoni, che è un elogio delle doti spirituali della madre e, soprattutto, della forza d’animo con cui aveva saputo affrontare la morte.

Il conte Francesco Florio (1705-1792), canonico di Aquileia, primicerio della cattedrale di Udine, vicario generale dell’arcidiocesi di Udine. M. l’aveva conosciuto nei due mesi (febbraio-marzo) in cui era stato a Vienna, inviato dopo il Capitolo generale di Udine del 1734 per discutere del ruolo dei vicari imperiali nel consiglio dei canonici di Aquileia. Fu autore di opere di storia e di agiografia e corrispondente, tra gli altri, del Muratori e di Apostolo Zeno.

 

Figuerola ] Fignerola B
di veder ] d’aver B
d’importunarla ] d’importunità B
son ] sono B
fargliele ] farglielo B