A Leopoldo (Roma)

Vienna 2 febbraio 1737

Fratello Carissimo

Mi consolano i sentimenti della ultima vostra lettera non meno, che il savio ordine di vita che vi siete proposto#1. Ma voi sapete che nella costanza#2 consiste l’esito d’ogni impresa, e che «fastidientis stomachi est plura degustare»#3. Fermatevi ad un cibo e dategli tempo di cambiarvisi in nutrimento#4. Per me mi crederò a dismisura pagato di tutte le sollecitudini che mi costate se sarete utile a voi medesimo unico oggetto fin ora delle mie cure. Voi lo promettete et io lo spero: non c’inganniamo.
          Al signor Buonaccorsi#5 mille abbracci, riverenze e saluti. Non trascurate il signor Peroni#6. Salutate tutti di casa, conservatevi e credetemi 

Pietro Metastasio

Nella lettera cui M. qui risponde, Leopoldo doveva aver manifestato il proposito di seguire le esortazioni che il poeta cesareo gli aveva rivolto nella lettera del 5 gennaio 1737 (cfr. testo e note). Simili rallegramenti per il promesso ravvedimento del fratello si leggono nell’incipit della lettera a Leopoldo del 20 aprile 1737 (cfr. anche la lettera, sempre al fratello, del 6 dicembre 1738).

L’esortazione ad adottare un costume di vita costante era già stata espressa da M. nella missiva a Leopoldo del 5 gennaio 1737: «Prendete un sistema costante, e sia qual più vi piace». 

Cfr. Sen. epist. 2, 4: «Fastidientis stomachi est multa degustare» («Assaggiare qua e là è proprio di uno stomaco viziato»: si cita da Seneca, Lettere a Lucilio, introduzione di Luca Canali, traduzione e note di Giuseppe Monti, Milano, Bur-Rizzoli, 1998). La lezione qui riportata (in cui compare plura in luogo di multa) è attestata in alcuni testimoni manoscritti e a stampa (cfr. Lucius Annaei Senecae pars prima sive Opera Philosophica […], Parisiis, colligebat Nicolaus Eligius Lemaire, 1827-1832, III, p. 50, nota 2). La citazione senecana (utile qui per invitare Leopoldo a restare fedele ai suoi nuovi propositi) è utilizzata anche in a Francesco Algarotti, 16 settembre 1747 e in a Giuseppe Rovatti, 5 novembre 1767 e 4 ottobre 1775; inoltre Giuseppe Garampi, in una lettera a Giovanni Cristofano Amaduzzi del 4 agosto 1777, riferisce che il poeta cesareo la impiegò mentre discorreva con lui di Bertola, a suo dire incapace di concentrare i suoi sforzi letterari su un solo genere poetico (Garampi assegna però erroneamente la massima a Cicerone: cfr. Maria Francesca Turchetti, Le lettere di Metastasio ad Aurelio Bertola conservate nella Biblioteca «A. Saffi» di Forlì, in «Acme - Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università degli studi di Milano», 60, 1, 2007, pp. 119-139: p. 125).

Questo suggerimento in forma sentenziosa sembra riecheggiare un altro passaggio della citata lettera senecana (Sen. epist. 2, 3): «Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur» («Non giova, né si assimila, il cibo rigettato appena preso»; Seneca, Lettere a Lucilio, cit.).

Come già ipotizzato da Brunelli (III, p. 1200) dovrebbe trattarsi di Giacomo (o Jacopo) Buonaccorsi, abate, poeta e librettista fiorentino, membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Astilo Fezzoneo (Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, a cura di Anna Maria Giorgetti Vichi, Roma, [s.n.], 1977, p. 37). Fu attivo tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento a Roma, dove si fece notare come autore di poesie, cantate e soprattutto oratori, «riconducibili principalmente alle famiglie nobili romane dei Corsini, dei Ruspoli e degli Ottoboni» (Giacomo Sciommeri, Il conflitto psicologico nella cantata-lamento: «L’Arianna» di Giacomo Buonaccorsi e Carlo Francesco Cesarini tra echi rinucciniani e scelte musicali, in Conflitti, a cura di Nadia Amendola e Giacomo Sciommeri, Roma, UniversItalia, 2017, 2 voll., II, Arte, Musica, Pensiero, Società, pp. 99-112: p. 101, nota 15). Allo stesso personaggio si fa cenno anche in a Leopoldo Trapassi, 6 dicembre 1738.

Giuseppe Peroni, corrispondente di M. (si veda la scheda biografica a lui dedicata).