Monsieur De Calsabigi#1(à Paris) da Vienna 2 Marzo       

Rispondo alla gentilissima vostra del 29 gennaio la quale accusa altre da me non ricevute#2. Spero che il cambiamento che vi proponete nella scelta del cammino#3 mi difenderà in avvenire da simili inconvenienti. Intanto seguitando l’ordine delle materie che avete tenuto nella vostra lettera eccovi le risposte categoriche.

Vi rendo in primo luogo distintissime grazie dell’amichevole impegno che avete preso di difendermi in una lettera a’ lettori #4, dalle accuse di coloro che mi vogliono copista de’ Francesi#5. Io ho creduto scrivendo per il teatro, di dover leggere quanto in questo genere hanno scritto non solo i Greci, i Latini, e gl’Italiani, ma gli Spagnuoli ancora, et i Francesi#6: et ho supplito alla mia ignoranza della lingua inglese con le traduzioni che vi sono#7, per informarmi quanto è possibile senza saper la lingua, de’ progressi del teatro fra quella nazione: or a seconda della più recente lettura può ben darsi che talvolta si riconosca in alcuna delle mie opere il cibo di cui attualmente#8 io mi nutriva: ma è grande ingiustizia il non riconoscervi se non se il cibo francese: e chiamar furto quella riproduzione che si forma nel mio terreno, de’ semi co’ quali ho creduto lodevole e necessaria cura il fecondarlo. Han bisogno di questa coltura non meno il grasso che l’arido terreno: in questo secondo si conserva lungo tempo, senza cambiar forma il seme che vi si nasconde; ma non produce: nel primo all’incontro si corrompe, cambia figura e fermenta, ma rende alla sua stagione 24 per uno#9. In queste differenze, è facile il riconoscer quella che si trova fra il copista, e l’autore#10

Rendete grazie per me al Signor Gerbault#11 del dono che mi prepara della ristampa del Marchetti#12. Mi sarà carissima e per il merito dello scrittore, e come pegno della sua amicizia. Ditegli che in vece d’una approvazione diretta a’ lettori, io medito di scrivere a voi una breve lettera#13, che potrete far imprimere nel primo volume, e produrrà il medesimo effetto.

La magnifica seconda edizione#14 che disegnate dare a suo tempo delle mie poesie, non lascia di solleticar la mia paterna tenerezza che non può essere insensibile a tutto ciò che onora et adorna i miei figliuoli#15: vi dirò solo ch’io sono per natura nemico de’ libri in foglio, incomodi a qualunque uso, e degni a parer mio unicamente de’ dizionari#16: e che credo che si possa ottimamente maritare il comodo alla magnificenza nella forma di quel gran quarto#17 in cui sono impresse le opere di Fontainelle, di Moliere, e di Rousseau#18: ma di ciò a suo tempo.

Nel Sogno di Scipione#19 undici versi innanzi all’aria che incomincia Se vuoi che te raccolgano#20 etc., v’è un verso che in alcune impressioni dice

che in terra per lo più toccano a lei

e deve dire

         che in terra per lo più toccano ai rei#21.

Nel Gioas re di Giuda#22 verso il fine della seconda parte, quando Gioiada parla ai Leviti mostrando loro il re: v’è un verso che nell’impressione di Piacenza#23 dice

 

Le imagini funeste

e deve dire

 

Le margini funeste#24.

Vi prego d’evitar questi errori nella vostra ristampa.

Desidero con impazienza qualche esemplare dell’edizione che avete fra le mani. Non farà danno al Signor Gerbault ch’io la faccia vedere. Intendo delle opere mie#25.

Le vostre gentili proteste#26, son precedute dalle pruove della vostra amicizia#27: onde come dubitarne? Esigetene il contraccambio comandandomi: e credetemi intanto etc.      
 


le traduzioni che vi sono: restano di fondamentale importanza gli studi di Anna Maria Crinò, Le traduzioni di Shakespeare in Italia nel Settecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1950 (in cui si affrontano gli esperimenti di traduzioni shakesperiane in Italia nel secolo XVIII, quali la prima resa italiana del Giulio Cesare, ad opera di Domenico Valentini, o dell’Amleto e dell’Otello di Alessandro Verri e, a fine secolo, dell’Otello, del Macbeth e del Coriolano di Giustina Renier Michiel) e il magistrale lavoro, pubblicato nel 1911, di Arturo Graf, L’anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, di cui si veda la nuova edizione a cura di Francesco Rognoni e Pierangelo Goffi, Napoli, La scuola di Pitagora, 2020, in particolare il cap. x, Lingua e letteratura inglese in Italia, pp. 241-269, e soprattutto il cap. xiii, Il teatro inglese – Shakespeare, pp. 319-346. Non si dimentichi, tra l’altro, che proprio Calzabigi fu a sua volta attento lettore e ‘traduttore’ del teatro inglese: egli stesso propose una traduzione, nella lettera ad Alfieri del 20 agosto 1783, di alcuni passi dal Riccardo III e dal Romeo e Giulietta: cfr. Calzabigi, Scritti teatrali e letterari, t. i, pp. 186, 196-198 e 224-226. Si tengano inoltre presenti i saggi di Anton Ranieri Parra, Le esperienze inglesi di Ranieri Calzabigi, in «Rivista di letterature moderne e comparate», 23, 1970, pp. 21-56, di Elisa Cantini, Calzabigi: alcune traduzioni e un dibattito sul sublime, in «Lingua e stile», 26, 1991, pp. 223-242, e, infine, il recente contributo di Caruso, che ricorda anche la circolazione (e la plausibile consultazione da parte di Metastasio) della traduzione shakespeariana di Pierre-Antoine de la Place, Le Théâtre anglois (pubblicato a Londra, negli anni 1746-1749, in otto volumi): cfr. Carlo Caruso, Metastasio e il mondo inglese, in Incroci europei, pp. 165-177, in particolare p. 169.