Al Signore de’ Calzabigi (a Parigi) da Vienna agosto 1754
Ho letta amico carissimo riletta, e minutamente esaminata la vostra dotta, elegante, ingegnosa, ma parzialissima prefazione#1 alla nuova stampa delle Opere mie: e temendo giustamente dell’integrità del mio giudizio sul merito d’uno scritto che tanto mi onora; l’ho comunicato a tre dottissimi, e giudiziosissimi Cavalieri amici miei che sono il Baron Hagen#2 Vicepresidente del Consiglio Imperiale Aulico, il Marchese del Poal#3 primo Gentiluomo di Camera del nostro Arciduca Giuseppe#4, et il Signore Conte di Canale#5 Ministro qui del Re di Sardegna. Tuttiettré sono presi dalla solidità de’ vostri argomenti: dall’ordine e dalla connessione delle vostre idee#6: dalla nobiltà, chiarezza, et energia del vostro stile, e dal vivace colorito di certi aggiunti vigorosi, che non s’incontrano per ordinario in ogni scrittore, e che arricchiscono la prosa, (senza farla cambiar natura) col patrimonio della poesia. Me ne congratulo con esso voi, ma molto più con me stesso, che potrò mercé vostra abbandonarmi senza tanto rimorso a qualche picciolo trasporto di vanità, che ho per me creduto fin ora delitto irremisibile. Non vi esagero la mia gratitudine, perché ve ne scemerei con l’espressione, la giusta idea che dovete averne formata.
Vi rimando la prefazione, accompagnata dalla lettera che volete fare imprimere in fronte all’edizione#7: e da alcune mie riflessioni sull’unità di loco, e sull’antico coro#8: e ve le mando con l’indirizzo che mi avete prescritto#9. Se nella prima volete qualche cambiamento avete tempo per avvertirmene: delle seconde farete l’uso che vi piacerà#10: intanto ho stimato necessario che voi non ignoriate come io penso sull’unità di loco, e sull’uso de’ cori#11.
Non vi parlo d’alcuni, e non pochi piccioli errori che ho riconosciuti e nella vostra prosa, e ne’ versi miei, colpa senza dubbio del copista, che non saranno trascurati nella correzione della stampa. Vi dirò solo con la sincerità dovuta alla nostra amicizia#12 che i tre nominati Cavalieri et io abbiam separatamente letta, et esaminata la vostra superba prefazione, e tutti prima di comunicarcelo scambievolmente abbiam concepito il desiderio di persuadervi a raddolcire alcune di quelle espressioni con le quali voi andate pettinando gl’ignoranti, e maligni dell’una, e dell’altra nazione#13. Non si vorrebbe già che voi taceste, né pur una di quelle eterne, costantissime verità che asserite: ma si tramerebbe che le spogliaste al possibile dell’acido, e dell’amaro che le accompagna#14. L’impeto persuade meno, perché suppone passione, e mette in sospetto il lettore anche indifferente: il disprezzo sveglia contradittori, in vece di far proseliti: la ragione condita d’umanità si fa strada anche negli animi preoccupati, et una vittoria che vi rende schiavi et amici i vostri rivali, è molto più gloriosa di quella che gli distrugge. Ma la carta finisce. Amatemi come fate, e credetemi etc.