Al Signor de Calzabigi da Vienna. a Parigi 14 Febbraro 1755.

Era già io con la penna alla mano per dimandarvi ragione del vostro silenzio: stimolato non solo dalla mia, ma dall’impazienza altresì di molti, a’ quali sulla vostra fede io ho promessa la pubblicazione della ristampa parigina degli scritti miei per l’ingresso del corrente anno; quando mi fu#1 recata la gratissima vostra del 10 dello scorso gennaio. Ho difesa la dilazione, e confermate le speranze per il mese d’aprile: e se lo spaccio corrispondesse poi alle presenti istanze, qui si dovrebbe aspettare considerabile#2: ma voi sapete che molte di queste ricerche sono incensi cortesi all’autore, molte altre ripieghi passeggeri per riempire il vuoto di qualche cadente conversazione: e molte in fine suggestioni della comun vanità d’esser compreso nel numero delle persone di buon gusto. Tutti fenomeni che per lo più si dileguano a fronte della spesa#3. Onde bisogna fidarsene discretamente. Mi piace l’ordine de’ componimenti nella ristampa#4: ma mi sarebbe piaciuto assai più che voi aveste fusi e mescolati, non così semplicemente inseriti nella bellissima vostra dissertazione i miei dettami intorno all’unità del loco, e dell’antico coro. Mi prometto per altro che l’avrete fatto con tal destrezza che il lavoro non comparirà intarsiato#5.

Assicurate di tutta la dovuta mia riconoscenza il signor Gerbault#6 per il cortese dono del Marchetti che mi prepara: e promettete ch’io farò l’uso migliore che per me si possa de’ programmi#7 dell’Ariosto che disegna inviarmi#8. Ma in quanto alla destinazione delle dediche de’ rami#9, io abbisogno di più minuta istruzione per servirlo con utilità. Se egli non si propone che il decoro della sua edizione nell’adornarla de’ nomi delle persone più distinte del secolo; io potrò suggerirgli quelle che risplendono in questo emisfero: ma se egli uccellasse per avventura a’ Mecenati; io sono il più ignorante di tutti i cacciatori#10, e lo consiglio da buon cristiano di valersi di qualche meno inetto commissario.

Vi compatisco caro amico, e vi ammiro per la dedica#11 alla quale vi siete trovato obbligato. Io confesso che quelle strettoie#12 non avrebbero lasciata alle mie muse la leggiadra disinvoltura che han conservata le vostre#13. Voi non mi domandate consiglio#14: onde il darvene è temerità: ma io credo tradimento il tacervi le mie osservazioni: onde soffritemi con quel difetto che vi assicura della mia vera amicizia.

La forma#15 del componimento che avete scelta non può ridursi che alla categoria delle cantate a voce sola. Or una cantata di questa specie con quattro ariette, non si può eseguire: perché non v’è musico d’organo così instancabile, che possa cantar senza interruzione quattro ariette, e tanto recitativo: et una cantata che non può cantarsi, non è men reprensibile d’una tragedia che non possa essere rappresentata#16. Se ne toglieste la prima, e la terza arietta: e restringeste l’ultimo recitativo, il componimento avrebbe la sua regolare estensione#17. Gli resta appena ardire di fissar voi. Credo che convenga dire di fissarsi in voi. Altrimenti significa fermarvi#18. Come si dice del mercurio#19. In que’ sguardi confusi bisogna dire in quegli secondo i pedanti#20, e questi che non sanno altra cosa, non ci perdonano il delitto di poter fare ciocché essi non ponno. Voi vedete che son tutti nei da mandar via, come si suol dire, con l’acqua benedetta#21, et io quando posso sfuggo di far gracchiare i ranocchi#22. Io ho esperienza della vostra maniera di pensare, e perciò m’avventuro a tanta confidenza#23: rendetemene il meritato contraccambio, quando ne trovate il bisogno: e frattanto conservatevi, riamatemi, comandatemi, e credetemi.

Il vostro etc.

 

Al … 1755] con la preposizione da aggiunta dalla mano del revisore A Al Signor de Calzabigi / Da Vienna a Parigi 14 Febbraio 1755. B

altre] altri B

 bellissima vostra] vostra bellissima A

non] aggiunto in interlinea A

specie] spezie B

che … rappresentata] che non possa esser recitata con recitata cassato e corretto in rappresentata A

ciocché] ciòcche con integrazione della seconda c ad opera della mano del revisore A

di] da B


 


ma mi sarebbe piaciuto … intarsiato: cfr. la lettera del 15 ottobre 1754, nota 13.

signor Gerbault: cfr. la lettera del 20 dicembre 1752, nota 6.

programmi: sono gli scritti che annunciano o presentano una pubblicazione, in questo caso con invito alla sottoscrizione.

il cortese dono del Marchetti … inviarmi: cfr. la lettera del 2 marzo 1754, nota 11. Per il tema del progetto dell’edizione ariostesca, già oggetto di discussione nei tempi addietro della corrispondenza, si vedano le lettere del 22 marzo 1753 e del 31 maggio 1754.

Ma … rami: come ricorda già Tongiorgi (Classici italiani e reti diplomatiche, pp. 198-199), i promotori del progetto ariostesco – Gerbault e i suoi soci – avevano avanzato a Metastasio, per tramite di Calzabigi, la richiesta di farsi procacciatore in Vienna di munifici finanziatori, i cui ritratti celebrativi sarebbero poi ovviamente comparsi nelle stampe dell’edizione costituenda.

ma se egli … cacciatori: altro è il patrocinio di eminenti personaggi di spicco della corte viennese, altro è il loro, o altrui, concreto sostegno economico.

la dedica: l’edizione Quillau è offerta alla marchesa di Pompadour, Jeanne-Antoinette Poisson (1721-1764), amante di Luigi XV, influente figura di corte e promotrice della cultura (per un suo sommario profilo biografico si rinvia al sito dell’«Enciclopedia Treccani», [Online], consultato il 10 agosto 2023. URL: https://www.treccani.it/enciclopedia/jeanne-antoinette-poisson-marchesa-di-pompadour/).

strettoie: è la sproporzione tra la lunghezza del componimento, che si forma complessivamente di 77 versi, e il genere della cantata nei cui confini il testo in oggetto pretenderebbe di iscriversi.

la leggiadra … vostre: si noterà la pungente ironia di Metastasio, che pare ammirare (forse più per circostanza che per convinzione) e al contempo prendere le distanze dalla soluzione adottata da Calzabigi.

Voi non mi domandate consiglio: sicuramente memore, forse ancora toccato dai toni apparentemente accomodanti ma taglienti della lettera del 30 dicembre 1747, timoroso di ricevere nuovamente censori rimproveri, Calzabigi non ha evidentemente chiesto a Metastasio un giudizio sulla sua dedicatoria in versi. Per la tendenza di quest’ultimo, su richiesta esplicita o meno del corrispondente, a farsi correttore del lavoro letterario altrui si leggano anche le pagine del suo carteggio con Algarotti.

forma: ossia il combinarsi della tipologia di versificazione e della quantità della materia.

Or una cantata ... essere rappresentata: nel ripercorrere la struttura della dedicatoria, Metastasio si lascia guidare, come di consueto, da un criterio di costante raffronto esperienziale.

la sua regolare estensione: ossia un impianto più bilanciato e armonico e non più congestionato dalla presenza di quattro arie in un numero di versi relativamente esiguo. Nondimeno Calzabigi si mostrò sordo ai suggerimenti di Metastasio e pubblicò la dedicatoria senza accogliere né le obiezioni alla struttura generale né le varianti consigliate per i singoli versi di séguito citati.

Gli resta appena ardire ... fermarvi: cfr. la citata dedicatoria, p. iii. Il rilievo di Metastasio propone una soluzione che genera uno slittamento semantico non trascurabile: dall’accezione transitiva del ‘fermare, mantenere in una posizione fissa’ attribuita allo sguardo del soggetto («chi vi mira») si passa a quella da lui stesso proposta di ‘concentrarsi, rivolgere l’attenzione’. Come si accennava, la proposta di variante, che peraltro in questa situazione comporterebbe un’ipermetria e una necessaria riformulazione del verso, non sarà accolta.

Come si dice del mercurio: per il riferimento alla tendenza al perpetuo movimento dell’elemento chimico cfr. GDLI s.v. 2, par. 4.

In que’ ... secondo i pedanti: cfr. ancora la dedicatoria, p. v. Come in altre occasioni, Metastasio lamenta le rigidità grammaticali in cui gli Accademici della Crusca, i «pedanti», paiono voler ingabbiare anche la lingua poetica in chiusi schematismi, renitenti alle forze vive e concrete della naturalezza. Per il caso in oggetto cfr. ad es. la terza edizione del Vocabolario della Crusca (1691), s.v. quegli, p. 1296 (disponibile online al sito «Accademia della Crusca. Lessicografia della Crusca in rete», [Online], consultato il 10 agosto 2023. URL: http://new.lessicografia.it/), in cui per l’uso del pronome nei casi in questione si rimanda ai lavori dei grammatici quali «il Cinonio, il Buonmattei». Consultando ad es. la prima delle due fonti indicate, ossia le Osservazioni della lingua italiana raccolte dal Cinonio, pubblicate a Ferrara nel 1644 dal gesuita Marcantonio Mambelli, dagli accademici Filergiti di Forlì ribattezzato “Cinonio”, al cap. ccxv, par. 21, p. 685, si legge: «Que’, o Quei, frequentissimo nelle Prose in luogo di Quegli, o di Quelli, scrivesi innanzi a Consonante, che non sia S, che altra consonante accompagni».

con l’acqua benedetta: quasi si trattasse di diaboliche epifanie da esorcizzare con rimedi apotropaici. Per l’espressione, che rimanda al gesto liturgico dell’aspersione, non si rinviene una consolidata attestazione paremiologica.

sfuggo di far gracchiare i ranocchi: il proverbio, di cui non si riscontrano altre occorrenze, vale qui ‘evito di suscitare cavillosi e sterili dibattiti’. In questo contesto di critica agli accademici, le cui sottili elucubrazioni sono parodizzate nel cacofonico gracidio degli anfibi, si consideri un passo degli Scritti vari di Pietro Verri, in particolare dall’articolo Ai giovani d’ingegno che temono i pedanti, contiguo per ragioni di immagini alle espressioni metastasiane: «Lasciate ai meccanici temer gli errori; voi temete i precetti de’ pedanti, [...] scrivete, e attraverso del gracchiare di que’ pedanti che cercarono d’avvilire Orazio, che giunsero a far impazzire il troppo compiacente Torquato Tasso, seguite tranquillamente la vostra carriera» (attingo la citazione dal GDLI, s.v. gracchiare, par. 5). Va inoltre segnalato che nella lettera a Francesco Algarotti del 21 aprile 1751 Metastasio adopera la medesima figura per allegorizzare ironicamente sé stesso e, in generale, i poeti dalle misere qualità espressive: «Noi altri poveri ranocchi d’Ippocrene non siam figure da frontispizio» (Carteggio con Francesco Algarotti, p. 174).

m’avventuro a tanta confidenza: espressione iperbolica che tenta di stemperare in chiusura, con una tattica già adottata nella lettera del 30 dicembre 1754, le pungenti considerazioni delle righe precedenti.