A Leopoldo (Roma)

Di Vienna 6 dicembre 1738

Fratello Carissimo

Ch’io v’abbia sempre amato è una verità che non ha più bisogno di pruova, ma che le notizie che ora mi giungono della vostra applicazione, e del vostro profitto raddoppino la mia tenerezza non è inutile ch’io vel confessi: perché grato, come vi credo, spero che il desiderio di piacermi vi renda, se non più sollecito, almeno costante nel faticoso ma onorato cammino che avete intrapreso#1. Voglia Dio ch’io senta di giorno in giorno accrescersi il credito vostro: e che possa una volta vedervi in tale stato, che la mia cura per voi, e la vostra attenzione per me siano puri effetti del nostro scambievole amore, e non del vostro bisogno. Mi consola la novella del miglioramento de’ vostri occhi, e mi lusingo che a quest’ora siate affatto risanato. Io sto ottimamente, e starei meglio se le infermità di Ungheria non mi tenessero alcun poco in pensiero. Sieno esse peste, o nol siano è certo che si comunicano, e si sono avvicinate più di quello ch’io non credeva#2: «nostraque res agitur, paries dum proximus ardet#3». Rendete grazie per me all’onoratissimo signor Buonaccorsi#4 de’ favori che vi compartisce, ditegli che io intendo di tenergliene ragione in mio proprio nome, e che veramente desidero d’abbracciarlo. Date al signor Peroni#5 l’annessa letterina affinché possa metterla nel suo libraccio. Mille riverenze a mio padre: saluti a tutti di Casa, e voi conservatevi, amatemi e credetemi 

il Vostro Affezionatissimo Fratello Pietro Metastasio
 

 

Per quanto resti imprecisato l’oggetto specifico dell’«applicazione» di Leopoldo (forse l’esercizio della professione avvocatizia), queste felicitazioni e l’invito ad essere costante nel proprio impegno sembrano contigui a quanto espresso nella lettera al fratello del 2 febbraio 1737. 
 

Tra il 1738 e il 1739 un’epidemia di peste investì varie zone dell’Europa centro-orientale (penisola balcanica, Ungheria, Valacchia, Transilvania) e provocò allarme anche a Vienna, data la prossimità delle zone colpite, molte delle quali erano inoltre, in quel periodo, teatro della guerra russo-turca del 1735-1739, nella quale era coinvolta anche l’Austria: cfr. Angelo Antonio Frari, Della peste e della pubblica amministrazione sanitaria, Venezia, Tipografia di Francesco Andreola, 1840, pp. 622-623.
 

Cfr. Hor. epist. 1, 18, 84: «Nam tua res agitur, paries cum proximus ardet» («È in ballo anche la casa tua, se brucia la casa vicina»; si cita da Orazio Flacco, Le Satire - Le Epistole, testo latino e traduzione in versi italiani di Ettore Romagnoli, Bologna, Zanichelli, 1971). Il verso oraziano (che M. riporta con dum in luogo di cum) allude alla pericolosa prossimità della pestilenza ungherese (cfr. supra).
 

Giacomo (o Jacopo) Buonaccorsi, abate, poeta e librettista fiorentino, membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Astilo Fezzoneo (Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, a cura di Anna Maria Giorgetti Vichi, Roma, [s.n.], 1977, p. 37). Fu attivo tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento a Roma, dove si fece notare come autore di poesie, cantate e soprattutto oratori, «riconducibili principalmente alle famiglie nobili romane dei Corsini, dei Ruspoli e degli Ottoboni» (Giacomo Sciommeri, Il conflitto psicologico nella cantata-lamento: «L’Arianna» di Giacomo Buonaccorsi e Carlo Francesco Cesarini tra echi rinucciniani e scelte musicali, in Conflitti, a cura di Nadia Amendola e Giacomo Sciommeri, Roma, UniversItalia, 2017, 2 voll., II, Arte, Musica, Pensiero, Società, pp. 99-112: p. 101, nota 15). Allo stesso personaggio si fa cenno anche in a Leopoldo Trapassi, 2 febbraio 1737.
 

Giuseppe Peroni (si veda la scheda biografica a lui dedicata).