A Leopoldo (Roma)

Vienna 9 maggio 1739

Fratello Carissimo

Mi piace che procuriate di raccoglier da per tutto pietre per la vostra fabbrica, e che sappiate trovar fino in Parnaso armi di cui far uso nel Foro#1. Questa attenzione è argomento dell’amore che cominciate a prendere per quel mestiere che professate; e questo amore è un gran pegno della felice vostra riuscita. Non vi stancate vi prego a fronte delle fatiche, e riparate con la nuova diligenza, l’antica trascuratezza#2. Non vi sgomenti la poca fluidità nel perorare, questa non suol essere natural dono di chi pensa profondamente ma se ne acquista quanto bisogna con l’uso, e la riflessione. Sia ben pensata la materia, sian solide le ragioni, non mancheran le parole: «cui lecta potenter erit res, nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo#3». È vero che infinita la schiera è degli sciocchi, i quali non distinguono la loquacità dall’eloquenza#4, e che ammirando la mole, non riflettono al peso: ma non badate a costoro, perché alla fin fine, dove si tratti di preghiere, ciascuno vorrà più tosto una spanna d’oro, che cento braccia di fieno. 

          La mia salute procede felicemente et io custodisco gelosamente questo inestimabile capitale né rendendolo inutile come gli avari, né abusandone come i prodighi, ma servendomene con quella discretezza che si richiede per servirsene lungamente quanto sia possibile. Conservatevi, fate i soliti saluti, e credetemi

Il Vostro Affezionatissimo Fratello
Pietro Metastasio

 

 

M. elogia la volontà manifestatagli da Leopoldo di ricercare nei testi letterari («Parnaso») spunti per la sua attività di avvocato («Foro»).
 

Sono vari, nel carteggio con Leopoldo, i rimproveri per la svogliatezza con cui questi pratica la sua professione: cfr. in particolare la lettera al fratello del 5 gennaio 1737.
 

Cfr. Hor., ars 40-41: «[…] Cui lecta potenter erit res, / nec facundia deseret hunc nec lucidus ordo» («A chi avrà scelto un soggetto commisurato alle sue facoltà non verrà meno l’espressiojne, né la chiarezza dell’ordine»; cfr. Quinto Orazio Flacco, Le opere, a cura di Tito Colamarino e Domenico Bo, Torino, UTET, 1975).
 

Su una simile contrapposizione tra «eloquenza» e «loquacità» M. tornerà in a Carlo Cavalli, 12 febbraio 1776; della «sciocca loquacità d’una sì gran parte de’ viventi» si parla invece in a Tommaso Filipponi, 22 aprile 1747. 
 

prodighi] prodigi [errore sanato a testo] A