Vienna, il 23 luglio 1735.

Lettera del Signor Abate Metastasio, al Signor Bettinelli stampatore in Venezia

Quali grazie non debb’io rendervi, gentilissimo signor Bettinelli, per la obbligante cura che avete voluto prendervi di farmi capitare l’erudite Considerazioni fatte sul mio Demofoonte#1? S’io avessi ozio per rispondere, la maggior parte della mia risposta non consisterebbe che in sentimenti di gratitudine per chi le ha scritte: tanto sente egli più vantaggiosamente delle mie fatiche, di quello che io medesimo ne senta. Le ho lette correndo ne’ pochi momenti che ho avuti di tempo fra il riceverle, et il rispondervi, ma le leggerò molte altre volte per approfittarmi non meno degl’insegnamenti che dell’artificio dello scrittore. Oh quanto facilitarebbe il mio profitto la pubblicazione della tragedia ch’egli promette#2! Allora considerando le perfezioni di quella conoscerei quel moltissimo di reprensibile ch’egli trascura di notare nel mio Demofoonte, bastandogli d’avvertir i lettori che vi sia; anzi contentandosi di concedere con esemplare carità ch’io medesimo abbia lasciate correre a bello studio quelle infinite irregolarità, purché non si ponga in dubbio che vi sono. Le parti del libriccino di cui mi fate dono, le quali discendono a’ particolari, sono la riflessione su la disuguaglianza de’ caratteri di Timante e Creusa et il paragone che egli propone fra il signor Apostolo Zeno, e me#3. In quanto alla prima forse egl’ha ragione, ma io credevo che non fosse variazione di carattere, il dipingere un personaggio medesimo in diverse situazioni. Il mio Timante è un giovane valoroso soggetto agl’impeti delle passioni ma proveduto dalla natura d’ottimo raziocinio e fornito dalla educazione delle massime più lodevoli in un suo pari. Quando è assalito da alcuna passione è impetuoso, violento, inconsiderato. Quando ha tempo di riflettere, o che alcun oggetto presente gli ricordi i suoi doveri, è giusto, moderato e ragionevole. Et in tutto il corso del dramma si vede sempre in esso questo contrasto, o vicenda delle operazioni della mente, e di quelle del cuore, degl’impeti, e della ragione. Così fa Torquato Tasso del suo Rinaldo: quando la passione lo trasporta dice di Goffredo.

               Venga egli, o mandi, io terrò fermo il piede
               giudici fian fra noi la sorte e l’arme
               fera tragedia ei vuol che s’appresenti
               per lor diporto alle nemiche genti#4.

          Quando poi a sangue freddo ha tempo di riflettere, e di ragionare dice al medesimo Goffredo.

               E s’io n’offesi te ben disconforto
               ne sentii poscia, e penitenza al core
               or vengo a tuoi richiami, et ogni emenda
               son pronto a far che grato a te mi renda#5.

          L’istessa regola con diversa proporzione ho tenuta nel carattere di Creusa: ella è una principessa eccessivamente dominata dal fasto del suo grado, e della sua bellezza: offesa inaspettatamente da Timante e nell’uno e nell’altra senza aver un momento da ragionare prorompe inconsideratamente nella richiesta d’una vendetta che, sedato l’impeto primo, non solamente trascura, ma conosce non esserle dovuta, anzi a forza di raziocinio si riduce (come era giusto) a compatire l’istesso che perseguitava. E questa mi pareva non disuguaglianza di carattere ma diversità di situazione, senza la quale ogni carattere sarebbe insipido, et inverisimile. Qual uomo è sempre ragionevole e considerato? Qual uomo è sempre trasportato, e violento? Il primo sarebbe un nume, il secondo una fiera. Dal contrasto di questi due universali principi delle operazioni umane, passione e raziocinio, nasce la diversità de’ caratteri degli uomini#6, secondo che in ciascheduno più o meno l’una o l’altro, o entrambi prevalgono; e questo concorso di principi diversi nel soggetto medesimo accorda il valore d’Enea con le frequenti sue lagrime: i deliri di Didone col senno che si suppone nella fondatrice d’un impero: e giustifica Orlando.


               Che per amor venne in furore e matto
               D’uom che sì saggio era stimato prima#7.

          Ma volete che io vi dica un mio pensiero? Io credo che il dottissimo scrittore delle considerazioni suddette senta diversamente da quello che scrive. Io lo stimo più tosto un umore allegro, che desideroso di divertirsi, si studia d’appiccare una zuffa poetica fra il signor Zeno e me per farsi poi spettatore di questa comedia. Il paragone che è la seconda parte ma la principale della sua lettera pare visibilmente che non tenda ad altro. Ma in questa parte non mi sento punto inclinato a compiacerlo. Io professo al degnissimo signor Zeno infinita stima, e rispetto, e so che egli mi contraccambia con eguale amicizia. Onde dite pure a chi ve ne richiedesse, che io non dico meno del signor Apostolo di quello che l’autore medesimo delle considerazioni ne possa aver scritto. E che superbo di essere stato degno di tal paragone mi unisco di buona voglia con chi pronuncia a favore di lui#8.
          Non so dove sia fondato il rumore della proibizione imminente del mio Gioas#9.Egli è stato ristampato immediatamente in Roma#10né mi vien scritto che vi sia stata trovata cosa che offendesse; né per verità saprei quale dovess’essere quando non voglia torcersi malignamente qualche verso ad un senso contrario della mente di chi lo scrisse. Nel qual caso si può far dire un’eresia ad un Evangelista. Io non trovo principio per credere questa frottola: onde non veggo perché dobbiate far mancante la vostra stampa forse della meno imperfetta mia fatica#11.
          Io non ho mai scritto satire in tutta la mia vita, e non ne scriverò mai. Odio questo genere di scrivere, e non son proveduto d’atra bile, e di mal costume abbastanza per poterci sagrificare i miei sudori#12. Onde dite pure che se ne mente chi volesse applicarmene alcuna. Oltre di che il mio stile ha il suo carattere, e gl’intelligenti potrebbono difficilmente ingannarvisi.
          Se vi piace di dire i miei sentimenti su le Considerazioni che m’inviate potete farlo liberamente ma sarebbe finita la nostra amicizia se questa lettera o per via di copia o in altra maniera si pubblicasse. Io non so quel che ho scritto in tanta angustia di tempo, et ho altre solidissime ragioni per non volerlo. Amatemi, e credetemi.

          P.S.
          L’opera che ho terminata per agosto non si rappresenterà in tal tempo. Vi scriverò come volete quando sarà stampata. Desidererei di aver indietro o l’originale o una copia di questa lettera, che non ho tempo di metter in miglior ordine.

 

 

Considerazioni sopra il Demofoonte dell’abate Metastasio scritte in una lettera da Evandro Edesimo ad un suo amico, In Venezia, Per Alvise Pavino, 1735. Il testo compare in forma di lettera indirizzata a un «carissimo amico» in data Torino, 23 febbraio 1735 (il luogo di partenza della missiva è con ogni probabilità falso, come attesta Apostolo Zeno in una lettera a Giuseppe Gravisi del 27 settembre 1735: «L’autore delle Considerazioni sopra il Demofoonte mi è affatto sconosciuto. Mi è stato detto che quella scrittura sia venuta di Torino, ma non lo credo. Credo più tosto che questi sia uno de’ miei amici che per giuste cagioni siasi voluto nascondere»; Lettere di Apostolo Zeno, p. 152), e la sua genesi muove da una rappresentazione veneziana del dramma metastasiano durante il carnevale del 1735: Demofoonte, drama per musica di Artimio Corasio pastore arcade da rappresentarsi nel famosissimo Teatro Grimani di S. Gio. Grisostomo il carnovale dell’anno 1735 (Venezia 1735). Come affermato da Tiraboschi nella Biblioteca modenese (Modena, Presso la Società Tipografica, 1781, vol. I, pp. 330-331), l’autore delle Considerazioni va identificato in Francesco Bosellini, originario di Nonantola, che visse molti anni a Venezia con una «cattedra onoraria di Legge» e che proprio nella Serenissima dovette avvicinarsi al magistero e al circuito zeniani. Ritornato in patria, il duca di Modena Francesco III d’Este lo nominò «Capitano di Ragione» il 24 settembre 1741. Morì il 22 aprile 1742. Fu autore di due drammi per musica, Ippodamia e Cleomene, rimasti manoscritti «presso il Sig. Ferdinando Cepelli», e della Distruzione d’Hai, «componimento sacro per musica cantato nell’augustissima capella della Sacra Cesarea e Cattolica Real Maestà di Carlo VI» (Vienna, Gio. Pietro Van Ghelen, 1728).

Benché Bosellini dichiari di aver spedito alcuni suoi lavori al destinatario delle sue Considerazioni in forma di lettera («Perché dunque vi sia chi abbia la bontà di leggere questa lettera, sappiasi pure che ancor io ho composto qualche tragedia e alcun drama all’uso de’ nostri teatri, benché non abbiami piacciuto mai esporli che a due o tre miei confidenti. Ve ne spedisco uno. Se a voi pare pubblicatelo, accioché non mi si rimproveri l’essermi ingerito in affari non miei. Vi dico però con tutta sincerità che dopo aver parlato dei drami del M. e del Zeno, io mi arrossisco in produrne un mio, il qual è infinitamente inferiore»; Considerazioni sopra il Demofoonte, p. 44), nella nota Al lettore si legge: «La persona che ha messo alle stampe la lettera non ha creduto necessario mettervi anche la tragedia, che forse uscirà alla luce a miglior occasione». Di qui l’osservazione di M. sulla mancata pubblicazione della tragedia promessa da Evandro Edesimo.

Come osservato nelle Novelle della Repubblica letteraria (Venezia 1736, pp. 273-274), le Considerazioni sopra il Demofoonte presentano una struttura bipartita: la prima parte è dedicata alla rilevazione delle incogruenze comportamentali e drammaturgiche di due personaggi del Demofoonte metastasiano, Timante e la sua sposa Creusa. Secondo Bosellini, infatti, M. «non si è creduto obbligato alla regola d’Orazio sopra qualunque personaggio», ignorando così il precetto (Ars poetica, 125-130) che richiamava alla coerenza (e alla convenientia), dal principio alla fine dell’historia, dei personaggi e, di conseguenza, generando una sproporzione nel «variar de’ caratteri» drammatici (Considerazioni sopra il Demofoonte, pp. 18 e 23). La seconda parte è invece dedicata a un parallelo con Apostolo Zeno, il cui dramma Eumene, elogiato a partire dal personaggio eponimo («pieno d’alte virtù è sempre lo stesso in tutti gli accidenti diversi della fortuna»), presenterebbe qualità superiori rispetto al Demofoonte metastasiano: «prudenza nel mirabile della tessitura, esatta cognizion de’ costumi nella varietà de’ caratteri, connessione e proprietà ne’ sentimenti, sublimità e dolcezza insieme d’espressione e di verso» (ivi, p. 29).

Tasso, Ger. lib., V, 43, 5-8.

Ivi, XVIII, 1, 5-8. Per motivare la propria posizione, M. invoca l’auctoritas tassiana, focalizzandosi sulla varietas psicologica e caratteriale di Rinaldo, che nel corso del poema esibisce sentimenti e propositi contrastanti, a testimonianza di quel conflitto tra passione e raziocinio di cui si nutre il carattere degli uomini (e dei personaggi drammatici), che M. avrebbe teorizzato poco oltre.

Qui M. esplicita un cardine della sua poetica teatrale, fondata su una originale interazione dinamica tra passione e ragione; in proposito rimando a Tatti, Note sul lessico critico.

Ariosto, Orl. fur., I, 2, 3-4.

Le affermazioni di M. combaciano sostanzialmente con quelle pronunciate da Zeno nella lettera succitata al Gravisi, a testimoniare probabilmente un accordo tra i due per spegnere sul nascere ogni polemica e «zuffa poetica»: «Da Vienna e da altre parti mi è stato richiesto di dirne [riferito alle Considerazioni] il mio sentimento, ma mi sono scusato di farlo, sì perché in tal caso io sarei stato giudice e parte, sì perché io amo troppo e fo troppa stima del signor abate M., che vi è confutato. Le attesto che se avessi penetrato che questo libricciuolo si fosse avuto a stampare, e mi fosse stato in potere di impedire sì fatta pubblicazione, avrei adoperato ogni sforzo per impedirla» (Lettere di Apostolo Zeno, p. 152).

L’oratorio sacro Gioas re di Giuda fu rappresentato nella cappella imperiale di Vienna con musica di Reutter nell’aprile del 1735.

M. allude alla ristampa romana presso Pietro Leone (1735) della princeps viennese.

Gioas re di Giuda sarebbe apparso nel quarto volume dell’edizione bettinelliana delle Opere drammatiche (1737). Ne dava avviso, del resto, lo stesso M. in una lettera a Mattia Damiani del 26 febbraio 1735: «Le opere mie non comprese nelle due edizioni di Venezia si riducono ad un dramma e due oratorii scritti dopo la pubblicazione di quelle; e questi sono La clemenza di Tito, la Betulia liberata, il Gioas re di Giuda. Ma queste saranno incluse nella nuova edizione in dodici che ha già incominciata in Venezia il medesimo Bettinelli».

Affermazioni simili in una lettera a Giovanna Nepomucena di Montoja del 17 gennaio 1750 («Ma non trascorriamo alle satire; io non ne ho mai scritte finora, ed è troppo tardi per incominciare») e al fratello Leopoldo del 3 luglio 1769 («Voi sapete che per natura io non ho sufficiente atrabile per scriver satire o per dilettarmene»).

Lettera del Signor Abate | Metastasio, al Signor Bettinelli stampatore | in Venezia ] Allo Stampator Bettinelli | Di Vienna, a Venezia 10 giugno 1747 B ] Allo Stampator Bettinelli | Da Vienna a Venezia 10 giugno 1747 C

aggiunto in interlinea B

prevalgono ] prevagliono B ] prevagliano C

di questa ] della B C

Non so dove... fatica ] cassato in B ] mancante in C

satire ] satira B C

altre ] cassato in B ] mancante in C

scriverò ] servirò B C

o ] o vero B C