Ad un Amico#1

Vienna, 4 settembre 1734#2

Amico carissimo

Oh, questa volta non mi ci cogliete#3. Voglio essere io il primo. Buone feste a vostra signoria ed alla signora Caterina#4 gentilissima: poi felicissimo capo d’anno con la sua lunga seguela, di molti altri tutti fortunati senza capocerri#5, né capogatti#6, ma particolarmente pieni di buon umore, e vuoti di malinconia, Amenne, e così sia. Voi aspettate che io vi scriva le nuove, non è vero? State fresco. Delle settentrionali non ve n’è una maledetta, e delle meridionali voi siete meglio informato di noi, o almeno prima. Sicché se non vi scrivo che fa freddo, e che il Danubio è gelato, non saprei che cosa scrivervi. Il padre Timoteo, e monsignor suo fratello#7 mi dicono che non mi scordi#8 di salutarvi a nome loro, insieme con la signora Catarina. Io lo farò sempre che me ne ricordi#9. Se non lo facessi per dimenticanza, abbiatelo per fatto. 
          Come vanno gli affari teatrali di Roma? che musici avete? Il nostro signor Falliconti#10, quem honoris caussa nomino, come è affaccendato? Quali maestri scriveranno? Che divertimenti si preparano per l’imminente carnevale? Informatemi, eruditemi, che io son qua digiuno di queste importantissime notizie. Se poi v’incomoda, lasciate stare, ché mi figurerò tutto#11
          Spero che a quest’ora avrete impiegata la vostra energia a far comparire la mia nuova opera#12, leggendola con la solita enfasi nel Caffè di Campo Marzo#13. Desidererei che aveste avuto migliori ferri per farvi onore; m’affido molto nell’abilità di porgere, in cui bisogna che vi siate distinto fin#14 da fanciullo, poiché siete giunto a tal segno di perfezione, che non saprei darvi l’eguale. Caro padron Peppe, conservatevi, ed amatemi, perché altrimenti fareste una grand’ingiustizia alla sincerità, con cui vi sono
 

 

Il destinatario, che può essere identificato con certezza in Giuseppe Peroni dall’appellativo «Padron Peppe» alla fine della lettera e dal riferimento a «Caterina», viene espressamente individuato nella tradizione a stampa a partire da Ro1784.


In Ro1784; Ni1786-7; Fi1787-9; Tr1795 è attestata invece la lezione «4 Settembre 1733». In Carducci1883, pp. 76-77, e in Brunelli, III, pp. 98-99, la data viene congetturalmente spostata al 4 dicembre 1733. Lo spostamento del mese è motivato dai riferimenti al capodanno e al carnevale romano. Si accoglie qui anche la meno certa anticipazione dell’anno, introdotta a partire da Ro1784, per i contenuti espressi nella lettera e per il rapporto di dipendenza con l’epistola a Peroni del 18 settembre 1733.
 

La lezione mi ci cogliete è sostituita da mi cogliete in Ro1784; Ni1786-7; Fi1787-9; Tr1795.
 

Si tratta della sorella di Giuseppe Peroni (n. 1693), moglie dal 1736 di Pier Leone Ghezzi.
 

Grattacapi, grane, in senso figurato (Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana. Supplemento 2004, direttore Edoardo Sanguineti, Torino, Utet, 2004, p. 189), ma nella terminologia tecnica indica la zona cervicale degli animali, e dei cavalli in particolare. Cfr. la lettera a Peroni del 18 settembre 1733.
 

Capogiri, ma anche «malattia dei cavalli, detta più comunemente capostorno» (Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana, cit., II, p. 708).
 

Si tratta di Timoteo e Giuliano Sabbatini. I due fratelli erano originari di Fanano, nel Modenese, ed erano figli del nobile Domenico Sabbatini. Il padre cappuccino Timoteo morì nel 1736 e fu sepolto nella Chiesa de Cappuccini di Modena. Giuliano Sabbatini (1684-1757) fu vescovo di Apollonia dal 1726 e vescovo di Modena dal 1745. In virtù delle sue qualità diplomatiche, nel 1725 fu inviato a Vienna dal duca di Modena Rinaldo I d’Este e divenne ambasciatore straordinario presso Carlo VI. Tornato a Modena nel 1739, divenne consigliere di Stato del duca Francesco III e nel 1741 partecipò a una legazione in Francia presso Luigi XV. Aggregato all’Arcadia con il nome di Ottinio Corineo, fece parte di numerose accademie, cimentandosi nella scrittura letteraria e teatrale. Fu autore della tragedia Chelonide (1724). Altri testi furono pubblicati accanto a quattro volumi di opere religiose nella raccolta postuma di Prose e poesie italiane e straniere (1765). Sui Sabbatini cfr. Matteo Al Kalak, Sabbatini, Giuliano, in DBI, LXXXIX, 2017, pp. 420-422.
 

La lezione scordi è sostituita da dimentichi in Ro1784; Ni1786-7; Fi1787-9; Tr1795.
 

La lezione ricordi è sostituita da rammenti in Ro1784; Ni1786-7; Fi1787-9; Tr1795.
 

Chiusa anticipatamente la collaborazione con il teatro Argentina, Giuseppe Polvini Faliconti era stato ingaggiato da Ferdinando Minucci per gestire il teatro Tordinona dal 1734 al 1737. Il primo spettacolo curato dall’impresario per il nuovo teatro fu la rappresentazione della Partenope di Silvio Stampiglia con musica di Domenico Sarro e arie di Giovanni Battista Costanzi (13 febbraio 1734), mentre nel 1735 seguirono le messe in scena dell’Olimpiade e del Demofoonte metastasiani (cfr. Saverio Franchi, Drammaturgia romana. II (1701-1750), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. 281-293). Su Polvini Faliconti (1673-1741) cfr. a Peroni, 18 settembre 1733, 22 gennaio e 26 febbraio 1735.
 

Una rappresentazione immaginaria del carnevale romano era già stata descritta da M. nella celebre lettera a Marianna Bulgarelli Benti del 27 gennaio 1731.

Si tratta presumibilmente del Demofoonte, che era andato per la prima volta in scena a Vienna il 4 novembre 1733 su musica di Antonio Caldara, in occasione dell’onomastico di Carlo VI.
 

Evidentemente M. aveva inviato una copia del libretto a Peroni. Al di là dell’ironico suggerimento di M. a darne pubblica lettura nel Caffè di Campo Marzio, dove, secondo Brunelli, III, p. 1193, sorgeva «la più antica bottega da caffè di Roma», il Demofoonte verrà rappresentato al teatro Tordinona il 5 febbraio 1735. Su quella messa in scena cfr. a Peroni, 26 febbraio e 5 marzo 1735; a Leopoldo Trapassi, 5 marzo 1735.
 

La lezione fin è sostituita da fino in Ro1784; Ni1786-7; Fi1787-9; Tr1795.